20.12.10

La consolazione dannunziana nella notte santa di Gozzano.

E’ noto che Gozzano faceva spesso il verso a D’Annunzio e con lui gareggiava in abilità, in particolare nella ricerca delle parole desuete o dello stilema inedito, rovesciando tuttavia il famelico vitalismo piccolo-borghese del Vate nel disincanto e nell’“onesto rifiuto” e non disdegnando di prodursi in vere e proprie parodie. Ne ho detto e scritto anch’io, in un mio ormai antico libretto, Il secolo morente, ovvero la fine delle lezioni, di cui, avendo recuperato fortunosamente la digitalizzazione, posterò qui nei prossimi giorni alcune parti.
Non avevo però fatto caso a un evidente ricordo dannunziano in una poesia natalizia “per bambini” del Gozzano, La notte santa, che il mio maestro elementare mi fece imparare a memoria: “Consòlati, Maria, del tuo pellegrinare! / Siam giunti. Ecco Betlemme ornata di trofei. / Presso quell'osteria potremo riposare, / ché troppo stanco sono e troppo stanca sei”. L’ho postata in questo blog e constato che più d’uno visita la pagina, forse apprezzando la costruzione da cantilena antica.
(http://salvatoreloleggio.blogspot.com/2009/12/la-notte-santa-la-celebre-poesia.html).
Io sono persuaso che lo spunto iniziale sia stato fornito a Gozzano da un testo dannunziano, intitolato – guarda caso – Consolazione, dedicato alla madre e collocato in quel Poema paradisiaco che venne presentato come contraltare alle poesie di desiderio e lussuria che costituivano la principale attrattiva di altre raccolte. La corrispondenza non si limita al titolo. Nella prima quartina di endecasillabi c’è un “troppo sei bianca” e più avanti si sottolinea che la stessa madre ha “lo sguardo stanco”. Nel “troppo stanca sei” della prima quartina gozzaniana, anch’essa di endecasillabi, se ne avverte chiara l’eco. Se si cerca, nel testo dannunziano, si trovano senza difficoltà altre corrispondenze. E’ proprio per favorire questo gratuito esercizio che colloco qui sotto la poesia dannunziana, a suo modo bella anche per la sapiente utilizzazione e “provincializzazione” di motivi e di tecniche del grande simbolismo europeo.
Gabriele D'Annunzio a 17 anni
Consolazione
Non pianger più. Torna il diletto figlio
a la tua casa. E' stanco di mentire.
Vieni: usciamo. Tempo è di rifiorire.
Troppo sei bianca; il volto è quasi un giglio.

Vieni; usciamo. Il giardino abbandonato
serba ancora per noi qualche sentiero.
Ti dirò come sia dolce il mistero
che vela certe cose del passato.

Ancora qualche rosa è ne' rosai,
ancora qualche timida erba odora.
Ne l'abbandono il caro luogo ancora
sorriderà, se tu sorriderai.

Ti dirò come sia dolce il sorriso
dì certe cose che l'oblio afflisse.
Che proveresti tu se ti fiorisse
la terra sotto i piedi, all'improvviso?

Tanto accadrà, benché non sia d'aprile.
Usciamo. Non coprirti il capo. È un lento,
sol di settembre; e ancora non vedo argento
su'l tuo capo, e la riga è ancor sottile.

Perché ti neghi con lo sguardo stanco?
La madre fa quel che il buon figlio vuole.
Bisogna che tu prenda un po' di sole,
un po' di sole su quel viso bianco.

Bisogna che tu sia forte; bisogna
che tu non pensi a le cattive cose...
Se noi andiamo verso quelle rose,
io parlo piano, l'anima tua sogna.

Sogna, sogna, mia cara anima! Tutto,
tutto sarà come al tempo lontano.
Io metterò ne la tua pura mano
tutto il mio cuore. Nulla è ancor distrutto.

Sogna, sognar lo vivrò de la tua vita.
In una vita semplice e profonda
io rivivrò. La lieve ostia che monda
io la riceverò da le tue dita.

Sogna ché il tempo di sognare è giunto.
lo parlo. Di': l'anima tua m'intende?
Vedi? Ne l'aria fluttua e s'accende
quasi il fantasma d'un apriI defunto.

Settembre (di': l'anima tua m'ascolta?)
ha ne l'odore suo, nel suo pallore,
non so, quasi l'odore ed il pallore
di qualche primavera dissepolta.

Sogniamo, poi ch'è tempo di sognare.
Sorridiamo. È la nostra primavera,
questa. A casa, più tardi, verso sera,
vo' riaprire il cembalo e sonare.

Quanto ha dormito, il cembalo! Mancava
allora, qualche corda; qualche corda
ancora manca. E l'ebano ricorda
le lunghe dita ceree de l'ava.

Mentre che fra le tende scolorate
vagherà qualche odore delicato,
(m'odi tu?) qualche cosa come un fiato
debole di viole un po' passate,

sonerò qualche vecchia aria di danza,
assai vecchia, assai nobile, anche un poco
triste; e il suono verrà velato, fioco,
quasi venisse da quell'altra stanza.

Poi per te sola io vo' comporre un canto
che ti raccolga come in una cuna,
sopra un antico metro, ma con una
grazia che sia vaga e negletta alquanto.

Tutto sarà come al tempo lontano.
L'anima sarà semplice com'era,
e a te verrà, quando vorrai leggera
come vien l'acqua al cavo de la mano.

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