12.12.10

Il gioco sporco di Berlusconi. L'articolo della domenica.

Mi hanno fatto sorridere nella settimana trascorsa i giornali. Quegli stessi osservatori e retroscenisti che un mese fa prevedevano tra Fini e Berlusconi il “gioco del cerino” per rinfacciarsi reciprocamente la fine traumatica della legislatura, ora seguivano le tracce di trattative confuse negli svolgimenti e assolutamente improbabili negli esiti, come se si trattasse di una cosa seria e non di un gioco delle parti.
Oggi tutto sembra rientrato e tutti sembrano predisporsi a uno scontro elettorale che si preannuncia durissimo. E l’attenzione degli osservatori sembra concentrarsi sull’“Ora X”, il dibattito parlamentare e la mozione di sfiducia presentata alla Camera (la maggioranza favorevole a B non sembra al momento in discussione al Senato).
Qual è la posta in gioco? Non credo che dal voto alla Camera dipenda la sorte della legislatura, che è già segnata. Non vedo margini per governi istituzionali che non siano governi elettorali e Berlusconi, qualsiasi cosa dica e faccia dire ai suoi nel quotidiano manganellamento televisivo, non pensa affatto di portare la legislatura al suo termine naturale, ma vuole andare al voto disponendo di tutti gli strumenti di governo, con l’intenzione di usarli, anche contro la legge e la Costituzione, pur di vincere uno scontro decisivo per la sua sopravvivenza politica. Ha cominciato già da adesso il gioco sporco, con i plateali tentativi di acquisire parlamentari ad ogni costo. Poi potrebbero venire assunzioni clientelari di massa ovunque possibile, sfide alla piazza con provocati incidenti, finti terrorismi con massicci arresti, regalie e favori d’ogni tipo alle gerarchie vaticane, sconti e agevolazioni per le categorie “amiche” e soprattutto un totale asservimento del sistema mediatico. Non è un caso che tra gli argomenti di pressione sul Parlamento e sui parlamentari i servi di Berlusconi usino la presunta abilità del “piazzista” nello scontro propagandistico, che gli avrebbe consentito in passato clamorose risalite elettorali.
Stamani in Tv tal Diaconale faceva previsioni sul numero dei deputati Pd nella prossima legislatura, mettendo in conto una pesantissima contrazione determinata dalla legge elettorale: “Se vince alla Camera, come dicono i sondaggi, la coalizione Berlusconi-Lega avrà il 54% dei deputati; il Pd dovrà dividere quel che resta non solo con l’Idv e con l’Udc come nel 2008, ma anche con i seguaci di Fini, di Rutelli, di Vendola”. L’omino non ammetteva nessuna possibilità di rimonta delle sinistre: con le tv in mano – lasciava intendere – Berlusconi è imbattibile.
In discorsi siffatti è contenuto un messaggio nei confronti dei parlamentari attuali. E non solo quelli di Fli, ma anche quelli a rischio di rielezione nelle attuali opposizioni, che secondo questo conteggio sarebbero molti. L’obiettivo delle pressioni è ottenere qualche altro passaggio di campo, che, a un Berlusconi reso sempre più fascistico dalla paura, garantirebbe non solo il voto di fiducia, ma anche un successo ideologico: l’ulteriore screditamento delle istituzioni rappresentative e parlamentari da lui stesso trasformate in un sordido mercato.
Sugli acquisti di parlamentari dipietristi c’è nel “Fatto quotidiano” di sabato 11 una riflessione pesante, ma seria, di Marco Zerbino. Di Pietro fa bene a gridare “giuda” e a parlare di “trenta denari”, ma dovrebbe anche raccontare le modalità di selezione delle rappresentanze istituzionali del suo partito al centro e in periferia. Sovente nell’Idv si salta la fatica della costruzione dei gruppi dirigenti attraverso la militanza per procedere al riciclaggio di personaggi provenienti da altre esperienze, fiduciariamente scelti dal capo. Questo rende la compagine politica particolarmente permeabile alle pratiche trasformistiche: da qui il caso Carrara nel 2001, il caso De Gregorio nel 2006, i tanti casi minori, ora quelli di Razzi e Scilipoti. Ma, se si guarda bene, anche per Callearo e il Pd ha funzionato qualcosa del genere: la candidatura dell’industrialotto veneto, in precedenza punta di lancia dell’attacco confindustriale ai diritti operai, fu voluta da Veltroni fuori da regole, linee e prassi, fu espressione del partito “personale” che l’ex sindaco di Roma tifoso della Juve tentava di costruire.
Insomma nella crisi, sperabilmente esiziale, del regime di Berlusconi, marcisce con miasmi maleodoranti anche il modello di partito che egli ha con successo incarnato , quello che Quagliariello chiamò “partito carismatico”. Mi è sembrato perciò una bella cosa, una correzione di rotta, il discorso di Bersani alla manifestazione di sabato, al di là della vacuità o dell’ambiguità di certe sue parti, perché ha egli voluto presentarsi non come candidato premier, ma come rappresentante di una forza politica, di un partito democraticamente strutturato. E’ più una buona intenzione che una realtà: il Pd realmente esistente è un conglomerato di organizzazioni, tradizioni, clientele, notabilati non sempre commendevoli. Ma in politica anche le intenzioni hanno il loro peso e quelle di Bersani fanno ben sperare per il futuro, per quella sinistra larga che è nei voti di tanti, come possibile fine dei processi di disgregazione indotti dal craxismo prima e dalla Bolognina dopo e collegati al crollo dei regimi dell’Est europeo.
La mia speranza è che anche Nichi Vendola nei prossimi giorni batta un colpo e dia seguito alla sua promessa di essere un “leader contro il leaderismo”. E’ giusto che esiga le primarie, ma sarebbe un grande aiuto alla campagna elettorale se le primarie fossero soprattutto un confronto serio sulle cose urgenti da fare per uscire dal berlusconismo, a partire dalla restituzione ai lavoratori di redditi, diritti e poteri.

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