19.12.10

I dilemmi di Bersani. L'articolo della domenica.

Dopo la “fiducia” ottenuta dal governo Berlusconi le possibilità che si voti in primavera sono aumentate.
Sparita dall’orizzonte l’ipotesi di un governo tecnico o di transizione, i berlusconleghisti preparano le elezioni. Lo fanno in molti modi, con la criminalizzazione del dissenso e la richiesta d’ordine, con il manganellamento mediatico e quello reale, con l’approvazione rapida di tutte le controriforme sul tappeto da quella universitaria a quella che vieta il testamento biologico. Mentre  nella scuole pubbliche manca tutto, sono già arrivate le provvidenze per le scuole dei preti e fra un po’ si escogiteranno regalìe per tutti i gruppi sociali e i gruppi di pressione considerati amici. Poco conta il prevedibile aggravarsi dei problemi finanziari e di bilancio, anche nel rapporto con l’unione europea: si tenterà di addossarlo agli “altri”, ai nemici storici e ai traditori di oggi.
Nel Pd talora ci si consola con l’illusione che Berlusconi tema elezioni imminenti e sia in grado di impedirle e si legge in questa chiave la continuazione della campagna acquisti di parlamentari anche dopo il fatidico 14 dicembre.
C’è della verità in tutto ciò. Nonostante la ritrovata tracotanza e i sorrisi da imbonitore il cavaliere intuisce che il suo appeal elettorale si è notevolmente ridotto e che si è diffusa la consapevolezza della sua incapacità di dare seguito alle promesse che sistematicamente continua a dispensare. Tra i berlusconidi i dubbi di una vittoria piena sono perciò ampiamente diffusi: si teme per il Senato, ove potrebbe non esserci la maggioranza per il ruolo giocato dai centristi e si teme la Lega che potrebbe essere il soggetto politico più avvantaggiato dalla vittoria e potrebbe aspirare ad una incontrastata egemonia sul Nord.
Il tentativo di allargare la maggioranza nella Camera dei deputati non ha lo scopo di favorire l’approvazione della cosiddette “riforme-bandiera” oggi in discussione, quella universitaria per esempio, che trovano la via aperta dal supporto centrista e, talora, piddino. I nuovi arrivi servono invece a preparare un colpo di mano sulla legge elettorale del Senato, per renderla simile a quella, sconcia, della Camera e pottenere anche lì un vistoso premio di maggioranza nazionale, che consenta di spadroneggiare  con il 35-40 per cento dei voti.
Credo che questa volta non si ripeterà lo scandalo delle “conversioni” individuali, la saga delle Siliquini, dei Callearo e degli Scilipoti. Ha invece più probabilità di efficacia la pressione del cardinale Bagnasco e del risorto Ruini. L’allargamento della maggioranza alla Camera con un altro gruppetto di deputati potrebbe avvenire questa volta nel nome della “vita” e della fedeltà a Santa Madre Chiesa. Ma tutto questo non ha l’obiettivo di allungare di mesi o addirittura di anni la legislatura, ma quello di rendere possibile il blitz sulla legge elettorale del Senato.
In questo contesto la via maestra per le opposizioni di centrosinistra e di sinistra è quella di dire basta e lanciare la sfida alla destra corrotta e golpista. Sembrava che Bersani volesse farlo, consolidando gli accordi già raggiunti con Sel e Idv, restituendo un profilo moderatamente di sinistra al programma di governo (sulla redistribuzione soprattutto), accettando la sfida delle primarie proposta da Vendola. Questo non avrebbe impedito il dialogo con il neonato “centro” sui temi “democratici”: quel che si è detto per la destra, vale anche per un centrosinistra più forte dell’asse Berlusconi-Bossi. E’ improbabile, infatti che nel prossimo Senato della Repubblica ci sia una maggioranza precostituita e con i centristi bisognerà fare i conti.
Non è andata così. Il Pd, Bersani incluso, si allinea con il “duo della sconfitta” D’Alema-Veltroni e si comporta come se non volesse vincere. Lancia una proposta unitaria di governo a tutte le opposizioni e tira fuori dal cassetto alcune indicazioni programmatiche che ammiccano ai centristi. Dice che di primarie si parlerà, casomai, dopo, pare disposto ad accettare la prospettiva di un “papa straniero”, anche se questo dovesse comportare una rottura a sinistra con le formazioni di Di Pietro e Vendola, accusa quest’ultimo di arroganza per la sua insistenza sulle primarie.
Il centro, ovviamente, nicchia. Sottoposto a quotidiane pressioni da Berlusconi e dal Vaticano, chiede al Pd, per intavolare un dialogo di governo, una preventiva rottura a sinistra.
Naturalmente tutta questa “ammuina”, tutti questi giochi e controgiochi tattici, cui diversi esponenti del Pd stanno prestando se stessi, è la via migliore per perdere le elezioni ed è tutto il contrario di una nitida opposizione alle destre e di un programma alternativo che fermi lo sfascio istituzionale e democratico e il massacro sociale e rilanci in forme davvero nuove lo sviluppo economico, culturale e civile.
Grazie a questa classe dirigente piddina, insomma, potremmo trovarci di fronte a una vittoria del nuovo fascio, a una definitiva chiusura a destra della lunga crisi di regime. 
Resta una domanda. Perché lo fanno, perché si fanno e ci fanno male? La risposta non è difficile. L’idea di una ricollocazione, anche parziale e provvisoria, a sinistra li atterrisce. Hanno ormai introiettato le follie ideologiche della destra economica, matrice del disastro: le privatizzazioni, il mercato, la competitività. Vogliono privata non solo l’acqua, ma anche l’aria. Amano i poteri concentrati nel governo e aborrono le lentezze della partecipazione democratica. Preferiscono Melchiorre ai metalmeccanici. Sognano un berlusconismo senza Berlusconi.
Bersani (e con lui un gruppo di dirigenti importanti) era sembrato, e tuttora sembrerebbe, volersi distaccare da questi miti, ma ha una paura matta, direi fisica, di Veltroni e D’Alema, dei potentati e notabilati che intorno a loro si raccolgono, nel partito e fuori dal partito, nella Rai, nelle banche, tra i costruttori e gl’industriali, nelle regioni rosse e altrove.  

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