8.12.10

Cattivi maestri. Le mie "Cronache giubilari" recensite da Walter Cremonte.

All’editore GIADA resta un numero limitatissimo di esemplari delle mie Cronache giubilari, nell’ordine delle unità, non delle decine. Io non ne trovo più una copia nella mia libreria, tant’è che per il blog sto utilizzando, nella casa paterna, quella che regalai al mio caro papà, con una dedica inneggiante al suo “antico e sano anticlericalismo”.
A scanso di equivoci, non si trattò affatto di un successo editoriale. Con la stampa digitale Gianni Bovini ne fece tirare poche copie, intorno alle duecento. E quelle poche sono andate esaurite. E non necessariamente acquistate. Di certo una sessantina sono state regalate, metà da me e metà da Enrico Mantovani, a cui il libro (bontà sua) piacque. Un computo di quelle effettivamente lette, in tutto o in parte, dall'acquirente o dal donatario, è molto difficile, ma il numero ovviamente scende ancora. Scommetto che non s'arriva a cento. 
Dipende dai miei limiti di scrittore o, più correttamente, di scrivente? Di sicuro e soprattutto. Io stesso, leggendo, mi accorgo di tanti difetti, anche se a quelle pagine resto affezionato (si sa che ogni scarafone è bello a mamma sua). E tuttavia penso che la scarsa diffusione del volumetto fosse dovuta anche ad altro e che i rifiuti travestiti da rinvii (“Vedremo più avanti”) a organizzare presentazioni da parte di amici, enti, circoli, sezioni eccetera, avessero anche altre ragioni.
Il libro vide la luce nell’ottobre del 2001, il mese dell’intervento in Afghanistan della coalizione dei volenterosi capitanata dagli Usa, presentato come una reazione tempestiva al terribile attentato dell’11 settembre. Come obiettivi della “crociata” ne vennero indicati due, immediati: la cattura di Osama Bin Laden, da quasi tutti indicato come il capo del terrorismo islamico internazionale, e del mullah Omar, guida dei talebani che, al tempo, controllavano Kabul e gran parte dell’Afghanistan. Ma ne vennero indicati di più ambiziosi, specie tra quei “neocons” che, spesso provenendo da sinistra, erano i tra gli ideologi più ascoltati da Bush e teorizzavano l’esportazione della libertà attraverso la guerra: l’instaurazione in quel paese della democrazia liberale, la liberazione delle donne afghane dal burqa e da ogni altra costrizione, eccetera eccetera. Com’è evidente nessuno di questi obiettivi è stato realizzato. Di Omar e di Obama nulla si sa, anche se ricorrenti sono stati gli annunci che volevano morto l’uno o l’altro di loro: ma la cosa non sembra essere effetto della guerra. Quanto al resto ci vogliono stomaci capaci di digerire “la qualunque” per parlare di democrazia e di liberazione femminile a Kabul. La guerra peraltro non è finita, i talebani controllano gran parte del paese e con loro (quelli moderati) trattano senza nasconderlo i generali americani. Intanto continuano i bombardamenti, le stragi e i morti da tutte le parti, anche fra gli italiani.
La diffusione delle Cronache giubilari sarebbe dovuta avvenire nei primi mesi del 2002, anche attraverso il giro di presentazioni che di solito promuove i libri dell’editoria locale per villaggi e paesi, in librerie, sale pubbliche e feste di partito.
Se ne fecero solo due. Una si svolse al Borgo di Perugia, organizzata dall’associazione del quartiere: la serata risultò glaciale, alcuni gradi sotto lo zero, e i pochi che c’erano (meno di 20) davano con la loro presenza una testimonianza di fede degna di miglior causa. L’altra si fece a Bastia Umbra, sotto l’egida del Comune allora di sinistra, che volentieri avrebbe negato la sala a me, ex consigliere, ma non si sentiva di negarla ad Alberto La Volpe, che della cittadina era stato sindaco amatissimo e mi presentava il libro.
Alberto nella veloce cena che facemmo prima dell’incontro mi disse che aveva apprezzato il libro, ma nell’intervento della sala consiliare, affollata soprattutto da miei (e suoi) personali amici, parlò d’altro e, in sostanza, esaltò il papa pacifista e mediatico. Era già la primavera del 2002 e cominciava la campagna di Bush per estendere la guerra santa dell’Occidente, in Iraq intanto, poi In Iran e in Siria. Wojtila era uno dei pilastri del movimento pacifista che cominciava a prendere corpo per fermare i disegni dell’amministrazione Usa e ad Alberto La Volpe, grande amico della Palestina e della pace, sembrava una ragione sufficiente per mostrare verso il papa polacco attenzione e apprezzamento. Durante la manifestazione una ventina di copie delle Cronache giubilari il libraio le vendette comunque e a me non dispiacque prestarmi al rito della firma. E tuttavia dubito che l’acquisto fosse incoraggiato dalle parole del presentatore.
Per farla corta penso che un libro francamente e spavaldamente antipapalino, non senza qualche reminiscenza ottocentesca, com’era il mio, difficilmente avrebbe ottenuto aiuti nella diffusione, anche se fosse stato meglio pensato, scritto e costruito. Vigeva ancor più che adesso il pregiudizio, diffuso a sinistra, contro il “vieto anticlericalismo” (“vieto perché vietato” – soleva dire Ernesto Rossi, autore di splendide Pagine anticlericali).
Ho raccontato questa storia, probabilmente noiosa, per giustificare la scelta di far conoscere a chi frequenta questo blog qualche stralcio di quel vecchio libro, facendolo precedere dalla recensione che ne fece Walter Cremonte nell'aprile 2002 proprio su “micropolis”, il mensile per il quale sono stati composti gli articoli che compongono le mie cronache di quell’anno speciale. (S.L.L.)  

Leggendo le Cronache giubilari di Salvatore Lo Leggio (Giada,2001) viene alla mente, per prima cosa, un passo famoso del De rerum natura di Lucrezio: quasi all’inizio del poema, dopo aver esaltato Epicuro per la sua lotta vittoriosa contro la religio, l’autore si preoccupa di rassicurare il destinatario perché non tema di essere avviato su una cattiva strada, empia e scellerata; infatti il male non è nella critica alla religione, ma nella stessa religione, come dimostra l’episodio del sacrificio di Ifigenia (Tantum religio potuit suadere malorum! – a proposito come tradurre la parola religio? Si potrebbe proporre “alienazione religiosa”). Dunque Lucrezio ha temuto di essere preso per cattivo maestro (e gli capiterà di peggio: sarà dichiarato pazzo dal suo biografo cristiano). Correrà questo rischio anche il mio amico Salvatore?
E’ certo, in ogni caso, che si troverebbe in buona compagnia: Lucrezio, appunto, Machiavelli, Voltaire, Marx… E di sicuro quest’altro benvenuto tra i didatti del sospetto aveva ben chiaro nella mente l’ammonimento del vecchio Bertolt Brecht: “Anche il minimo gesto, in apparenza semplice, / osservatelo con diffidenza. / Investigare se proprio l’usuale sia necessario / E – vi preghiamo – quello che succede ogni giorno / non trovatelo naturale”.
Lo Leggio ha scelto come osservatorio privilegiato l’anno giubilare, in particolare nei suoi svolgimenti umbri, e ce ne ha mostrate cose da guardare “con diffidenza”: per aiutarci a demistificare l’apparente normalità di un ritualismo così invasivo ed ossessivo da apparire come un dato indiscutibile e quasi fatale della realtà e non, com’è, frutto di scelte politico-mediatiche ben definite e ben individuabili. E per farlo l’autore di queste Cronache giubilari usa in maniera magistrale (ed anche molto divertente) l’arma dell’ironia, strumento prediletto del pensiero critico di matrice illuministica.
Una definizione classica della modalità dell’ironia è questa: la moralità dell’autore si afferma attraverso la auto-negazione delle posizioni che combatte, che sono confutate dalla propria stessa insostenibilità. Detta così sembrerebbe una cosa un po’ “fredda”. Ma nel caso di Lo Leggio balza in primo piano la presa di posizione partigiana, combattiva, spesso incalzata da un forte sentimento di indignazione e non solo dalla consapevolezza ironica (a volte ghignante) di una superiorità intellettuale sull’avversario. E’ per questo che il discorso che Lo Leggio – così teso a mascherare conformismi, acquiescenze e complicità di comodo – dovrebbe interessare non solo la sinistra critica, interlocutore privilegiato, ma anche un lettore cattolico, disposto però ad un sano bagno nell’acqua gelata e pulita per togliersi di dosso incrostazioni del tipo di quella denunciata nel libro, a pag. 48, “per la quale il dialogo consiste nel dire agli altri - Io sono nella verità, tu nell’errore! Adesso puoi anche parlare…”.
E certamente interessa una specie di povero cristiano come me, anzi, per dir meglio, una specie di semi-cristiano come credo di essere io, uno che del Cristianesimo ha percorso solo metà strada, fino alla croce, perdendosi la parte più succosa e gratificante: la Resurrezione, il trionfo sulla sofferenza e sulla morte. Riconosco meglio la prima parte, anche perché è nel senso comune e nel linguaggio comune il “povero Cristo”, il “Cristo in croce” ( e la croce di Spartaco nell’ultimo scena del film di Kubrik, e la croce che forma il lettino dei condannati a morte per iniezione letale…) e in generale sento un po’ estraneo il trionfo. Così le parole dette al ladrone “oggi sarai con me in Paradiso” mi suonano come “fatti coraggio, tra poco sarà tutto finito” – che non sarà il paradiso, ma certo gli assomiglia parecchio.

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