16.11.10

Dai "Quaderni" di Leonardo Sciascia. "Venivano tutti da Campobello" (“L’Ora” 12 gennaio 1966)

Lo scrittore siculo-americano Ben Morreale.

Gli antenati normanni
Ho letto, in questi ultimi giorni, per un lavoro che sto facendo sui narratori siciliani che dicono la realtà della Sicilia, due scrittori siculo-americani, Jerre Mangione e Ben Morreale.
Del primo, già tradotto in italiano, un libro che tra il divertimento e l’idillio, con finissime notazioni psicologiche, rappresenta il mondo della “piccola Sicilia” nella città di Rochester; del secondo, con l’aiuto di una amica inglese, un libro più duro, più complicato e problematico sia nella psicologia del protagonista che nella tecnica del racconto. Il libro s’intitola The seventh saracen, il settimo saraceno; e la ragione del titolo è spiegata chiaramente nel preludio, che raccoglie la leggenda di sei fratelli saraceni consegnati ai vincitori normanni dal tradimento del settimo fratello, e poi più sottilmente, con inquieta coscienza, da tutto il racconto: che è, in effetti, la vicenda di un tradimento e di un rimorso (ma di un rimorso che non travalica mai dalla rappresentazione alla confessione, e anzi avvolto da un volontario cinismo).
Jerre Mangione ama la Sicilia, la “piccola Sicilia” di Rochester e quella mitica e lontana che rivive nel ricordo della madre: una Sicilia chiamata a paragone di ogni odore e sapore, di ogni dolcezza di vita e di ogni intensità di sentimento; un luogo insuperabile di verità e di bellezza. E si può dire che Mangione ha identificato la Sicilia con la madre, mentre Ben Morreale l’ha identificata col padre: e perciò, in termini quasi freudiani, la detesta e la ama. E un po’ si sente “settimo saraceno”, portatore di un tradimento ma al tempo stesso consapevole della necessità del tradimento: che è poi lo stato d’animo di chi è riuscito a passare la linea dell’integrazione. E si potrebbe, per questo siculo-americano, ripetere il discorso altra volta tentato a proposito di Pietro Chiara e del suo libro Con la faccia per terra: considerando, tra l’altro, che anche il libro di Morreale è nato da un viaggio in Sicilia, nel paese dal quale i suoi genitori erano emigrati durante una di quelle periodiche crisi delle industrie solfifere. Piccoli industriali dello zolfo, dice Morreale, i miei genitori sono venuti in America per riuscire ad accumulare quel poco denaro che avrebbe permesso loro di tornare a vivere in Sicilia, nella miseria cui erano abituati: e invece in America c’erano rimasti; ed è lui, nato in America, professore di storia in una università americana, che torna a Racalmuto, paese dei suoi genitori, con quella inquieta coscienza che i suoi genitori certamente non ebbero.
Come il settimo saraceno, che col tradimento cercò di mimetizzarsi tra i normanni vincitori, tornando in Sicilia e scoprendo che i siciliani lo riconoscono siciliano e non americano, il protagonista del libro cerca nel passato della Sicilia, nella storia, il punto in cui mimetizzarsi, il razziale che gli renda più facile il passaggio da siciliano ad americano: e lo trova, appunto, nei normanni… Praticamente, un dramma tipico della società americana viene trasferito da Guy (questo è il nome del protagonista: normalizzazione, più che americanizzazione, di Gaetano) in una società, quale la nostra, assolutamente ignara di conflitti e mimetizzazioni razziali.
E si arriva al grottesco di questo dialogo di Guy con le zie:
“Com’era nonno Giuliano”, chiese Guy. Rosa era seduta al tavolo e sbucciava fave; Peppina, seduta dall’altra parte, le schiacciava con un martello da calzolaia.
“Che vuol dire, Gaetano?”.
“Voglio dire, era alto o…”.
“No, era basso; molto più basso di te, ma forte”.
“Io l’ho sempre immaginato alto”.
“No, era più basso di te, ma solido; non grasso, solido”.
“Era di colorito chiaro?”.
“Sì, come te: così chiaro che potevi vedere il sangue sulla sua faccia”.
“Aveva gli occhi azzurri, dunque”.
“Aveva gli occhi scuri”, Rosa disse.
“Comunque non era di origine normanna, no?”.
“No, veniva da Campobello”.
“Voglio dire, i suoi antenati venivano dalla Normandia”.
“No, erano tutti di Campobello, non si è mai parlato d’altro”.
“Ma io li ho immaginati provenienti dalla Normandia”.
“E dov’è la Normandia?”.
“In Francia”.
“Più lontano di Caltanissetta?”.
“Sì, più a nord dell’Italia”.
“Più lontano di Roma?”, domandò Rosa.
“Sì”.
Rosa levò alte le braccia: “Mai papà Giuliano andava più lontano di Caltanissetta”.

da “L’Ora” 12 gennaio 1966

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