22.10.10

Lo "sbattezzo". Una storica battaglia di Aldo Capitini.

Pisa, Il Battistero
Il nome sbattezzo lo inventò il quotidiano cattolico “Avvenire” negli anni 50. 
Nel 1956 il vescovo di Prato aveva cacciato fuori dalla chiesa una coppia di conviventi, chiamandoli “pubblici peccatori”. Alla coppia, che osò ribellarsi e protestare, i preti, i bacchettoni, le beghine costruirono intorno una sorta di cordone sanitario. I due ne ebbero forti danni, anche economici, e contro il vescovo ricorsero alla magistratura. 
I giudici di quel tempo non erano il non plus ultra del progresso e dell’autonomia. I più, entrati nei ruoli al tempo del fascismo, servivano il regime dei democristiani e dei preti con lo stesso zelo con cui avrebbero servito il precedente; pertanto diedero ragione al vescovo. La motivazione della sentenza era curiosa: il battesimo avrebbe creato una sorta di dipendenza dal vescovo, cui si rimaneva subordinati.
Aldo Capitini, religioso ma laicissimo, reagì alla sentenza chiedendo al Vescovo di Perugia di cancellare il suo nome dalle liste dei battezzati. Fu oggetto di violenti e sgradevoli attacchi non solo da parte del clericalismo perugino, ma anche da parte dei giornali che al tempo venivano chiamati “indipendenti”. Il Vescovo, in particolare, rispose picche, dicendo che i registri parrocchiali documentavano un fatto, il battesimo, e quel fatto era incancellabile come i suoi effetti salvifici, inclusa l’obbedienza al vescovo.
“Avvenire” qualificò offensivamente la sua richiesta come sbattezzo, termine che è passato nell’uso per indicare la formalizzazione dell’uscita dalla Chiesa cattolica, mentre i dizionari registravano già il verbo sbattezzare, ma solo nel senso di “cambiare nome” a qualcuno o a qualcosa.
Da qualche anno l’Uaar (Unione atei agnostici e razionalisti) ha trovato il modo per riprendere quell’antica battaglia di principio, che non ha nulla di goliardico o folcloristico. Lo sbattezzo che viene proposto non implica alcuna parodistica ritualità, ma solo una richiesta che trova forza nelle normative europee e nelle leggi nazionali sulla privacy. Chi non vuole essere in quegli elenchi, quelli delle “loro anime” – dicono i parroci -, deve poter essere cancellato.
Il solito vescovo di Terni, monsignor Paglia, fa il furbastro: atei, materialisti e razionalisti non dovrebbero avere problemi, consapevoli come sono che la presenza del loro nome nei registri parrocchiali non limita in alcun modo la loro libertà di coscienza. L’argomentazione – ovviamente – è del tutto rovesciabile: non dovrebbe aver problemi lui a cancellare quei nomi, inseriti quando le persone che li portano erano ancora in fasce e del tutto inconsapevoli. Ma quei nomi fanno numero e per il Vaticano, come un tempo per Mussolini, il numero è potenza: serve a rivendicare un ruolo di guida, privilegi, vantaggi economici alle pubbliche istituzioni. 
E' per questo che, nonostante la chiarezza sulle norme della privacy, che hanno già obbligato i preti a tante cancellazioni, vescovi e parroci la mandano per le lunghe e oppongono obiezioni: “sbattezzarsi” è più difficile che chiudere un conto corrente in banca, ma non impossibile. Basta insistere. E’ anche per questo che l’Uaar organizza per il 25 ottobre la giornata dello sbattezzo, per promuovere - ovunque sia possibile - iniziative di informazione di modo che il diritto conquistato sia esigibile.

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