28.10.10

La morte di Stalin (di Vasilij Grossman)

Storici e letterati oggi dicono che così non è, che la morte di Stalin (e quel che ne seguì in Russia) non segnò un cambiamento d’epoca. Ma così allora sembrò e gli scrittori, quelli di razza dico, ne danno conto più degli storici o dei politici. Basta ricordare il racconto di Sciascia su questo tema ne Gli zii di Sicilia.
Dall’interno della Russia sovietica una bella voce che racconta di quella morte è Vasilij Grossman, prima cantore dell’epopea di Stalingrado e della grande guerra patriottica, poi dissidente, ostracizzato perfino dai “destalinizzatori”, tanto che il suo capolavoro, Vita e destino, compiuto nel 1960, fu pubblicato solo all’estero, a Losanna, nel 1980, parecchi anni dopo la sua morte (1964).
Il brano che segue è tratto da un romanzo anch’esso pubblicato postumo (1970), Tutto scorre…, scritto tra il 53 e il 63 e, in Italia, edito nel 1987 da Adelphi con la traduzione di Gigliola Venturi. (S.L.L.)
E improvvisamente, il cinque marzo, Stalin morì. Quella morte venne a intrufolarsi nel gigantesco sistema di entusiasmo meccanizzato, d'ira e d'amore popolare, stabiliti su ordine del comitato di rione.
Stalin morì senza che ciò fosse pianificato, senza istruzione degli organi direttivi. Morì senza l'ordine personale dello stesso compagno Stalin. Quella libertà, quella autonomia della morte conteneva qualcosa di esplosivo che contraddiceva la più recondita essenza dello Stato. Lo sconcerto invase le menti e i cuori.
Era morto Stalin! Gli uni furono presi da un sentimento di dolore: in alcune scuole gli insegnanti fecero inginocchiare gli alunni e, postisi loro stessi in ginocchio, spargendo lacrime diedero lettura del comunicato ufficiale sul decesso del Capo. Durante le assemblee funebri, nei ministeri e nelle fabbriche, molti furono presi da attacchi isterici, si udivano pianti convulsi e grida terrificanti di donne, alcune cadevano svenute. Era morto il grande Dio, l'idolo del ventesimo secolo, e le donne singhiozzavano...
Altri vennero presi da un senso di felicità. Le campagne, che soffocavano sotto il peso del piombo del pugno staliniano, tirarono un sospiro di sollievo. Il giubilo invase milioni e milioni di persone rinchiuse nei lager.
…Colonne di detenuti stavano andando al lavoro nel buio profondo. L'abbaiare dei cani poliziotto copriva il ruggito dell'oceano. E all'improvviso, come la luce dell'aurora boreale, cominciò a filtrare tra i ranghi: "È morto Stalin!". Decine di migliaia di persone sotto scorta si passavano l'un l'altro la notizia, sussurrando: "è crepato... è crepato", e quel sussurrare di migliaia e migliaia cominciò a fischiare come un vento. La nera notte regnava sulla terra polare. Ma il ghiaccio sul mare Artico si era rotto, e l'oceano ruggiva. Non furono pochi, tra i dotti così come tra gli operai, coloro che a quella notizia mescolarono al dolore il desiderio di ballare dalla gioia. Un turbamento si produsse nell'attimo in cui la radio trasmise il bollettino della salute di Stalin: "respirazione Cheyne-Stokes... urine... polso... pressione sanguigna...". Il capo divinizzato svelava d'un tratto la sua vecchia carne impotente.
Stalin è morto! V'era in quella morte un elemento di libertà repentina, infinitamente estranea alla natura dello Stato staliniano.

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