7.9.10

Scuola elementare. In fila per tre?

Rileggo un ritaglio da “La Stampa” del 6 febbraio 2010. E’ uno degli “editoriali dei lettori”, brevi commenti su temi d’attualità che il quotidiano torinese pubblica per dare voce al suo pubblico. Chi scrive, in questo caso, è tal Marco Gambella che dichiara 49 anni e il ruolo di impiegato. Non so dire se e quanto il suo scritto sulla scuola, intitolato Riformare dal basso, sia emblematico degli effetti perversi del manganellamento ideologico operato dai media berlusconizzati; so che dietro l’antisessantottismo e l’antipermissivismo sovente si nasconde, neanche tanto bene, un progetto di sfascio della scuola pubblica.

Scrive Gambella : “Non serve a niente riformare la scuola superiore, o l'università. Il cambiamento deve partire dal basso, dalla scuola elementare, che oggi non serve a niente, è solo un prolungamento della materna. Alle medie arrivano bambini che sono già abituati a bullismo e turpiloquio imparati alle elementari. Una scuola, in generale, dovrebbe soprattutto educare. Educare i futuri cittadini a svolgere il proprio dovere nel rispetto delle regole e del prossimo. Non i contenuti sono in discussione, ma i metodi. Chi è andato alle elementari fino agli Anni Sessanta ha imparato ortografia, aritmetica, storia e geografia (almeno tutte le province italiane!) perché c'era più rigore e più selezione. Si puniva. Ora nella scuola non c'è più selezione, manca il senso di responsabilità, il sapersi gestire, si trovano spaesati di fronte alla selezione vera, quella del mondo del lavoro, non avendo mai superato esami «veri». Non è vero per tutti, per fortuna, ma la maggioranza è questa. Non è abituata a lavorare”. L’articolo è insomma la richiesta di un generalizzato “ritorno all’ordine”: grembiulino, nastrino, autorità indiscutibile, punizioni (in ginocchio dietro la lavagna?), bocciature anche nella scuola dell’obbligo. La lettera, certamente scritta in buona fede, dopo aver proposto il ritorno della “fila per tre” e del servizio di leva anche per gl’immigrati, si conclude con una battuta che condivido: “Ma il permesso di soggiorno a punti e lo studio della Costituzione ci vorrebbe anche (anzi, soprattutto) per gli italiani... Gli immigrati non sono un problema. Il problema siamo noi”.

Lascio gli eventuali più articolati commenti agli eventuali frequentatori del blog. Qui propongo, in forma interrogativa, solo quattro punti di discussione.

I°. Una scuola elementare che, fin dalle elementari, punisce, boccia e seleziona, è anche una scuola che esclude ed emargina. E’ nell’interesse di una società ordinata produrre esclusi, emarginati e disadattati?

II°. Gambella non ragiona di contenuti: lascia intendere che quelli dei suoi tempi (“ortografia, aritmetica e … tutte le province italiane”) bastano e avanzano. Ma una scuola depauperata conserverebbe ruolo e importanza rispetto alla tante (troppe) sollecitazioni di una società mediatica potente e pervasiva? Non perderebbe autorevolezza?

III°. I figli degli immigrati nelle scuole ci sono e nelle elementari sono spesso tanti e diversi. Funzionerà una didattica basata su “ordine e disciplina” in un contesto così complicato o non è meglio adottare strategie che, oltre al rispetto delle regole, prevedano apertura, comprensione, valorizzazione delle diversità?

IV°. Ha senso, allora, tagliare le risorse, tornare al maestro unico, abolire (o quasi) gli insegnanti di sostegno, gonfiare il numero degli alunni per classe? Se la qualità scende diventa velleitario pretendere fiducia dai genitori e obbedienza dai bambini.

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