19.9.10

I cattolici allergici al cattolico Manzoni (di Leonardo Sciascia - maggio 1973)


Questo articolo di Leonardo Sciascia comparve su un settimanale dalla grande pagina (come, in origine, “L’Espresso”) che durò poche settimane. Si chiamava “Il Lombardo”, ma non mostrava alcuna tentazione secessionista o anche soltanto federalista, solo dichiarava di voler leggere l’Italia dal punto di vista della sua regione economicamente più forte. Ne era direttore, se non ricordo male, Arturo Tofanelli. 
Nella pagina che ho conservato mancano indicazioni relative al mese e all’anno, dovrebbe tuttavia trattarsi del maggio 1973; era l’anno del centenario manzoniano e negli stessi giorni (22 maggio) compariva sul “Giornale di Sicilia” un articolo dello scrittore racalmutese assai simile nei contenuti, anche se diversamente organizzati (L’allergia morale degli italiani per “I promessi sposi”). (S.L.L.)
Un prete spagnolo da anni in Italia, buon conoscitore della nostra letteratura, mi diceva: “ Il vostro più grande scrittore moderno è Verga, non Manzoni”. E uno scrittore francese: “Voi italiani non riuscirete mai a giudicare Manzoni scrittore per noi tedioso e addirittura impossibile; per voi è come il latte della madre: lo succhiate quando ancora non siete in grado di giudicare il sapore, né mai saprete se ne ha”. Gli inglese sembra che correttamente lo apprezzino. I tedeschi che lo ammirino, ma forse per rispetto a Goethe che l’ammirava. E gli italiani? Gli italiani, è vero, lo succhiano come latte materno; ma non è vero che non ne ricordino il sapore. Lo dicono insipido: assolutamente, fermamente. La scuola, d’accordo: che cosa non rendeva insipido la scuola? (Il verbo al passato non perché ora sia diversa, ma perché non c’è più). I brani a memoria: “Addio monti…”; la questione della Grazia; i personaggi toccati da questa ben distinti, così come si usa il “distinto” negli indirizzi; la Provvidenza; da seguire nel corso delle vicende come una di quelle carte geografiche che si dicono “mute”; e poi la lingua, i panni da tirar fuori dall’Arno e da stendere a riva. Ma tutto questo adoperarsi della scuola a rendere insopportabile il Manzoni, non basta a spiegare perché gli italiani lo trovino effettivamente e definitivamente insopportabile. Forse la ragione vera è questa: che è un libro cattolico, e per il cattolico italiano il cattolicesimo non è affar di coscienza e di scienza, non può stare nel cuore e in un libro. Tranne che il libro non sia il messale, che sta in chiesa: come tutto quello che riguarda la religione, che non può e non deve uscire dalla chiesa, da quell’edificio più o meno splendido che si va a visitare nei giorni festivi; in cui doverosamente ci si trattiene per una mezz’ora come in casa della zia da cui si spera di ereditare; in cui le donne vanno (andavano) più spesso degli uomini e spessissimo durante guerre, pestilenze e carestie.
Se si facesse un’inchiesta sugli italiani che hanno letto gli Evangeli, crediamo non si andrebbe oltre l’uno per mille, preti inclusi. E non parliamo della Bibbia. Il Manzoni, I promessi sposi del Manzoni, ha avuto tanti più lettori, e per tante generazioni: ma non molti italiani l’hanno amato e pochissimi oggi. Uno scrittore cattolico, un libro cattolico. E invece I promessi sposi è, come lo definì Hoffmannsthal, un libro assolutamente laico. E qui ci possiamo chiedere se l’allergia degli italiani, che a un livello basso e vasto trova ragione nel cattolicesimo dello scrittore, del libro, non trovi invece ragione, appunto, in tale laicismo.
Forse il nodo della sfortuna manzoniana sta nell’aver scritto un libro (fermiamoci al più famoso) che i cattolici non amano in quanto cattolico e i laici non amano in quanto laico. E sarebbe come dire che da noi laici e cattolici sono della stessa pasta. E’ un libro, insomma, che inquieta la coscienza laica come la coscienza cattolica – o per meglio dire: che equamente la non-coscienza cattolica e la non-coscienza laica allontanano appunto perché inquietudine. E davvero non c’è nella nostra letteratura libro più inquietante. E se poi vi aggiungiamo la Storia della colonna infame, come bisogna aggiungerla, l’inquietudine può arrivare all’insonnia (l’insonnia pascaliana e altra, non metafisica). In definitiva Manzoni è uno scrittore su cui si verificano sconcertanti paradossi, disastrose incongruenze: molto italiano senza gli italiani; molto cattolico senza i cattolici; molto laico senza i laici. Che non c’erano.
Ma per dirla semplicemente: in quest’anno centenario della morte, invece di spettegolarle e psicanalizzarlo (che è persino ovvio intravedere dietro un libro così apparentemente sereno un viluppo di nevrosi), non si potrebbe cominciare a leggere I promessi sposi come la storia di un piccolo e tremendo prete cattolico, del pavido, cinico e duro don Abbondio? Sarebbe la chiave migliore per una diversa e finalmente giusta lettura – e ce l’ha offerta un critico tra i più acuti che, non soltanto per Manzoni, ci siano stati in Italia. Naturalmente, se ne sa pochissimo. Si chiamava Angelandrea Zottoli, il saggio si intitola Il sistema di don Abbondio. E anche per questo critico ci si può ripetere quel che Ceronetti diceva (in un articolo che resterà forse il più interessante tra i tanti pubblicati in quest’anno) di Manzoni: “Indigesto ad ogni cialtroneria intellettuale”.

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