21.9.10

Divinità (un mio racconto inedito - 1979)


Era stanco Gesù. Ai discepoli disse: “Seguitate il vostro cammino” e si fermò ad un capanno. Si stese sul pagliaio facciabocconi e prese il sonno dei giusti.
Quando sul far dell’alba si risvegliò, vide alla fontana una fanciulla, dalle labbra color di mora, nero corvino le trecce, e gli occhi, stranamente, di un azzurro intenso. Gli piacque. E progettò di amarla. Non già come il creatore ama le sue creature, bensì da uomo a donna, d’una passione esclusiva e prepotente da sentirsene bruciare, da voler star con lei e con nessun altro, da rodersi e inquietarsi nelle attese, da turbarsene ad ogni sguardo.
Con il cuore e il ventre in subbuglio se n'andò alla città e tacito se ne stava tra i discepoli. Ad uno, forse per spezzare il suo mutismo, scappò detto: “Sei Tu, Signore, la Via, la Verità, la Vita”. Gesù pensò che meglio sarebbe stato non conoscere la via, e la verità affannarsi a cercarla senza risultato, e di vita viverne una con la minuscola, una qualsiasi, pur di poter amare.
Alzò gli occhi al cielo e al Padre chiese di farlo in tutto uomo, di liberarlo della sua divinità. Se ne compiacque il Padre, e con Lui lo Spirito, e col Cristo furono concordi, ché uno è Dio, sebbene in tre persone, e una è la Sua volontà. Ma nulla poterono, che tutto è concesso a Dio Onnipotente e Sempiterno fuorché una cosa soltanto, cessare di essere Dio. E sta qui la Sua carcere.

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