22.7.10

Una sorta di cancrena (da "La civetta cieca" di Sadeq Hedayat)

Nell’aprile del 1951, alcuni giornali di Parigi diedero questa notizia di cronaca: “Un persiano, di nome Sadeq Hedayat, si è suicidato, in un appartamentino di rue Championnet, aprendo il rubinetto del gas”. Qualche settimana più tardi apparve su “Le nouvelles littéraires” un articolo di Roger Lescot, che del morto parlava come del “fondatore della letteratura persiana moderna”. Era nato a Tehheran nel 1903. Tuttavia, nonostante la pubblicazione di una sua biografia e di alcuni suoi racconti, il nome dello scrittore rimase in Francia e in tutta Europa una conoscenza per iniziati fino alla pubblicazione quasi contemporaneamente in traduzione francese ed italiana, tra il 1959 e il 1960, de La civetta cieca, un romanzo scritto nel 1930 e diffuso in poche copie a Bombay, poi stampato a Teheran nel 1941, in una con l’istaurazione di un regime politico più liberale e meno incline alla censura che nel passato. Il romanzo è considerato un capolavoro del Novecento, da collocare accanto ai libri di Kafka o a La nausea di Sartre. Io credo che sia da leggere soprattutto per la potenza comunicativa che si ricava dalla perenne tensione tra una immaginazione illucinataa e una scrittura rigorosa. L’incipit, poi, che ho qui postato mi pare possa apprezzarsi anche da solo. Attendo giudizi (S.L.L.).

Ci sono malattie che corrodono la nostra psiche come una sorta di cancrena.

E’ impossibile offrire un’idea precisa dell’angoscia che da questo male può venirci. Gli uomini generalmente relegano queste inconcepibili sofferenze nella categoria delle cose incredibili. Farne menzione nelle conversazioni o negli scritti è un’audacia che, alla luce delle idee dominanti e in particolare delle opinioni comuni di ciascun individuo, suscita un sorriso di incredulità e di scherno. Il motivo di questa incomprensione è che l’umanità non ha ancora scoperto una vera cura per questo male. Si può averne sollievo solo nell’oblio procurato dal vino, o nel sonno artificiale dell’oppio o di altri narcotici. Purtroppo gli effetti di tali rimedi sono soltanto temporanei: lungi dal placarsi, il dolore ben presto si esaspera.

Riuscirà mai qualcuno a penetrare il segreto di questo male che trascende l’esperienza ordinaria, di questo obnubilarsi della mente, che si manifesta soltanto nel torpore che separa la morte dalla resurrezione, il sonno profondo dalla veglia.

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