16.7.10

Paul Nizan e quei servi sciocchi di Mosca (Aldo Natoli)

Ripropongo qui la prima parte di un articolo che Aldo Natoli pubblicò sul supplemento culturale de "La Repubblica". "Mercurio", il 30 marzo 1980. Tre le ragioni: il ricordo di un grande scrittore e di un grande comunista come Paul Nizan, della sua modestia e della sua intransigenza; la rivisitazione di uno dei momenti più neri dello stalinismo europeo; la lezione di rigore e di passione di un maestro di comunismo e di libertà come Aldo Natoli (S.L.L.).

Paul Nizan
Paul Nizan, scrittore e intellettuale comunista, studioso del materialismo degli antichi e dell’imperialismo dei contemporanei, cadde il 23 maggio 1940 in una località fra Lilla e il mare, nella seconda battaglia di Francia, allorchè i nazisti stringevano in una morsa di ferro e di fuoco il porto di Dunkerque, dal quale le truppe anglo-francesi cercavano scampo sul mare. Entro l’immane tragedia abbattutasi sull’Europa in quella primavera, la sua personale non va dimenticata. Fu la tragedia di un comunista restato improvvisamente solo; e, lo ha scritto Jean Paul Sartre, un comunista solo è perduto. Nella sua morte si compiva un fatto inesorabile.
Aldo Natoli
Nell’approssimarsi dello scoppio della guerra (era redattore di politica estera di “Ce soir”, diretto da Aragon), Nizan aveva sempre sostenuto, contro la minaccia della Germania di Hitler, l’alleanza della Francia e dell’Unione Sovietica. Il patto tra Hitler e Stalin lo colse completamente di sorpresa; tuttavia, per quanto terribile fosse il colpo, egli cercò di darsi una ragione della mossa “cinica” con la quale i dirigenti sovietici avevano cercato di allontanare dal loro paese la minaccia immediata dell’attacco nazista. Ciò che lo spinse a dimettersi pubblicamente dal partito fu l’allineamento “imbecille” dei comunisti francesi, fu la spartizione della Polonia, fu l’ultimo folle tentativo della III Internazionale di presentare la Germania di Hitler come un paese pacifico e gli anglo-francesi come gli aggressori, unici responsabili della continuazione della guerra. Richiamato alle armi Nizan aveva respinto ogni lusinga, non era passato dall’altra parte, era rimasto comunista, un isolamento stoico, che nelle ultime lettere inviate alla moglie annuncia il presentimento di una fine accettata.

Marchio d’infamia
La memoria di quest’uomo caduto in combattimento contro i nazisti dopo aver assistito alla distruzione del proprio essere politico, fu con insistente ferocia insozzata dal partito comunista francese. La prima volta, nel marzo 1940, fu lo stesso Maurice Thorez, rifugiatosi all’estero, a scrivere su un giornale comunista svizzero di Nizan come di una spia della polizia, fautore alla fine d’agosto 1939 di un sedicente “comunismo nazionale”. Nel 1946 un filosofo come Henri Lefevbre pretenderà di scoprire negli scritti di Nizan la radice organica, l’ossessione psicologica del tradimento. A quell’epoca Lefevbre era membro del partito comunista: può darsi che più tardi, quando ne fu espulso, modificasse il suo punto di vista sulla psicologia di Nizan.
Sebbene mai alcuna prova, indizio o soltanto circostanza dubbia sia stata prodotta a carico di Nizan, doveva toccare ad Aragon di raggiungere il vertice più raffinato e sublime dell’uso della calunnia nei confronti della memoria di Nizan, quando (1949) pubblicò il primo volume del suo affresco storico-politico Les communistes, che doveva servire a rivestire di tricolore la politica dei comunisti francesi fra l’agosto del 1939 e il giugno del 1941, data dell’attacco hitleriano all’Urss. Nizan, ormai morto da dieci anni vi è rappresentato nel personaggio di Patrice Orfilat, un redattore de L’Humanité che, dopo l’annuncio del patto tedesco-sovietico, fornisce un miserabile spettacolo di paura e di opportunismo.
Perché il partito comunista francese ha infierito con tanta tenacia e con l’uso di mezzi così sofisticati, oltre che autorevoli, contro la memoria di Paul Nizan, con l’evidente scopo di imbrattarla per sempre con un marchio d’infamia? Il motivo è sufficientemente chiaro: Nizan, con il suo aperto dissenso rispetto alla politica di Stalin nell’agosto 1939, con il suo coraggioso dissenso pubblico, con il suo contegno modesto e inflessibile di comunista che non rinuncia alle proprie idee anche nel più completo isolamento, che rifiuta ogni compromesso con il potere, rappresentava una pesante testimonianza nei confronti della politica del partito nei primi due anni della guerra, era il germe di una cattiva coscienza per gli intellettuali comunisti, grandi e piccoli. Fra le defezioni che allora vi furono, anche numerose, per esempio nel gruppo parlamentare, la sua, le sue dimissioni erano rimaste inattaccabili nelle motivazioni e nei successivi comportamenti. Erano la denuncia ferma e irrefutabile delle improvvisazioni e delle incertezze, della mancanza di autonomia, infine del servile allineamento sulle posizioni dell’Unione Sovietica, anche là dove ai comunisti francesi veniva imposto di cessare ogni critica alla politica hitleriana, fino al punto di contribuire ad occultare la gravità dei pericoli e a demoralizzare l’impegno a resistervi.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Sto traducendo Antoine Bloyé, di paul Nizan. Ritengo che sia un puro attentato alla cultura il fatto che non esista una copia in commercio, o disponibile, di tale romanzo in Italia. Un altro oltraggio a chi, il solo fino ad ora, offre il grimaldello intellettuale (con tale romanzo, appunto) per lo scardinamento dei valori borghesi. Antonio Scardino

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