6.7.10

Il Dante giubilato. (da "micropolis" febbraio 2000)

Il testo, pubblicato su "micropolis" nel febbraio 2000, si ritrova anche nel volume Cronache giubilari, Giada, Perugia, 2001, che raccoglie gli articoli scritti per il mensile umbro come resoconto del Giubileo (S.L.L.).

Avevamo progettato di usare la ricorrenza del 17 febbraio, quarto centenario del rogo di Giordano Bruno, per una manifestazione pubblica sui temi della fecondazione assistita, della scuola confessionale e della recente iniziativa vaticana contro gli omosessuali. Ci siamo accorti per tempo che quella ricorrenza era fin troppo inflazionata e perciò poco fungibile per una battaglia chiara di opposizione all'invadenza clericale. Non mancheranno altre occasioni.

A ricordare la data ed a segnalarne il valore attuale per la sinistra sono bastate del resto le sobrie e penetranti pagine del quotidiano che ci ospita ("il manifesto"). Vi si legge, tra l'altro che, anche all'interno dell'ufficialità cattolica, esistono spinte per una rivalutazione del caso di Giordano Bruno, per una qualche forma di riabilitazione. E già accaduto per Galileo, ma in questo caso non sarà così facile. Il filosofo domenicano dovrà probabilmente accontentarsi delle scuse tardive di cui Wojtila è prodigo ma il suo pensiero e la sua opera resteranno difficilmente integrabili nella nuova ortodosssia cattolica.

A Perugia l'Archidiocesi con in testa il Vescovo monsignor Chiaretti, l'Ufficio di pastorale familiare e l'Ufficio di pastorale scolastica ci provano con Dante Alighieri, organizzando una serie di incontri sul tema La Divina Commedia, una guida morale per il Giubileo e non è operazione di poco conto se si ricorda come il grande poeta fiorentino, pur nel suo convinto cattolicesimo, abbia combattuto

la mondanizzazione della chiesa, abbia riempito di papi e vescovi simoniaci il suo Inferno e come, per tutto ciò, il suo capolavoro abbia per secoli subìto una sorta di quarantena in ambito ecclesiastico alimentata da ricorrenti accuse di eresia.

Gli incontri, iniziati l'11 febbraio, si svolgono nella Chiesa di Santa Teresa degli Scalzi, a Perugia e si concluderanno il 13 aprile con un convegno sulla ispirazione giubilare della Commedia cui parteciperanno alcuni docenti dell'Università di Perugia. Per attirare i giovani, si rilascerà un certificato di credito formativo, di quelli che servono a migliore il voto di maturità.

La conferenza di presentazione dal titolo Dante pellegrino nell'aldilà per la redenzione del mondo che mal vive è stata svolta dallo stesso monsignor Chiaretti, il quale ha predisposto per l'occasione tutti gli artifici della retorica. Con un sorriso cordiale ed un tono accattivante ha esordito ricordando gli anni in cui era insegnante ed ha ammannito al pubblico in buona parte composto da alunni e professori una definizione integralista della professione docente: l'insegnante è una guida che deve

accompagnare l'alunno alla salvezza. L'approccio alla cultura, ha aggiunto, deve avere una valenza religiosa; con buona pace di quelle anime belle che pretendono che anche nelle scuole dei preti possa vigere un'educazione pluralistica.

Entrando in argomento, il vescovo ha ricordato l'occasione degli incontri: la Commedia è ambientata nella Settimana Santa del 1300, anno del primo Giubileo, pertanto ha una ispirazione giubilare. Il senso della Commedia e quello del Giubileo sono analoghi: si tratta di pellegrinaggi di salvazione, di itinerari verso Dio.

Lo svolgimento del tema proposto da Chiaretti ha un limite evidente: le due parti di cui si compone sono giustapposte e solo occasionalmente integrate. Nella prima Chiaretti ricorda la nascita del Giubileo, nella seconda espone a grandi linee la sua interpretazione dell'opera dantesca: nell'una e nell'altra rivela dottrina e qualità comunicative. Vicende storiche, aneddoti, giudizi, citazioni testuali, riferimenti critici sono abilmente collegati e resi interessanti dal richiamo a tradizioni conosciute, a feste locali, ad esperienze vissute da molti. E' una retorica antica, forse poco mediatica, ma nel suo genere efficace, senza fronzoli ornamentali, senza forzature dialettiche. E' in stile "umile", quello che i padri della Chiesa ritenevano il più coerente con il compito principale del predicatore cristiano, quello del docere; ma traspare fin dall'inizio un'opinione che si presta facilmente ad attualizzazioni improprie. Papa Celestino V, quel Pietro da Morrone che aveva sollevato tante speranze tra i fautori di un ritorno alla chiesa povera ed evangelica e tante delusioni per la sua abdicazione, viene rimproverato per aver favorito, con il suo distacco dalla politica, le manovre e le guerre dei Colonna. Bonifacio VIII, il papa che sancì il primo Giubileo e a cui Dante riserva un posto all'Inferno, viene rappresentato con più simpatia. Fu forse un po' troppo "politico", ma era necessario per il bene della Chiesa.

Quando inizia a parlare di Dante la prima preoccupazione è di elencare i riferimenti, in realtà pochi e non sempre chiari, che legano la Commedia al primo Giubileo, per concludere sulla scia di un giudizio di un critico protonovecentesco, Francesco D'Ovidio, che la Commedia sarebbe "il più bel monumento al Giubileo".

La chiave di lettura della Commedia è pertanto, prevalentemente, quella "anagogica", autorizzata dallo stesso Dante nel Convivio e nell'Epistola a Cangrande della Scala. La storia raccontata da Dante e di cui egli stesso si finge agens (è curioso che il vescovo dia merito di questo termine, già utilizzato da Dante e da alcuni decenni adoperato ed abusato nei commenti e nei manuali scolastici, ad un recente studio della professoressa Migliorini Fissi) va interpretata come figurazione delle verità di fede ultime, più profonde ed inaccessibili, l'incarnazione, il dogma trinitario, la missione salvifica della Chiesa, il giudizio finale, perciò il modello principale ne sarebbe l'Apocalisse.

Il racconto in questa chiave del viaggio dantesco, seppure non particolarmente originale (ma è difficile esserlo su un'opera su cui é stato detto tutto e il contrario di tutto), é svolto in maniera coerente e convincente. Al più si può rimanere infastiditi per qualche sottolineatura "cattolica" come l'importanza decisiva attribuita alla Madonna nel cammino della salvezza, la sua funzione strategica all'inizio e alla fine del viaggio dantesco; ma Dante era cattolico e l'interpretazione non appare forzata. Con il riferimento all'esperienza del trasumanare e dell'indiarsi (confluire in Dio) la conferenza si conclude.

L'ascoltatore che per mestiere e per passione si è occupato a lungo di Dante rimane sconcertato e perplesso, non per quello che ha ascoltato, ma per quello che non ha ascoltato. Il Dante qui rappresentato è stato purificato dalle sue passioni, è stato censurato nei suoi odi, nei suoi amori, nelle sue utopie anche reazionarie, ma permeate da un fortissimo sentimento della giustizia, nelle invenzioni ingenue e fantastiche, nelle sue invettive, nel suo linguaggio creativo, è stato canonizzato, trasformato in un santino da appendere sul letto, castrato: i santi non hanno sesso.

Tornano in mente operazioni analoghe compiute soprattutto da “Comunione e Liberazione” e dai suoi intellettuali negli anni Ottanta. Negli inserti culturali della rivista di quella organizzazione "Litterae Communionis" si rappresentavano un Leopardi e un Pirandello cattolici loro malgrado.

Vogliono prenderseli tutti: Dante senza il suo anticlericalismo, Leopardi senza il materialismo, Bruno senza la libertà di coscienza. Attenti laici: con l’uso sapiente del bisturi fra un po’ si approprieranno di Voltaire. E di Carlo Marx.

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