28.7.10

Franco Fortini ad Aldo Capitini (1950): rifiuto della guerra e lotta allo sfruttamento.


È la vigilia della guerra di Corea. Aldo Capitini aveva appena diffuso Italia non violenta. Franco Fortini gli scrive una lettera che segnala consensi e dissensi e prospetta l'ipotesi di una "obiezione di coscienza politica", in qualche modo distinta da quella etica, prospettata da Capitini. L'altro elemento di differenza sottolineato da Fortini è il rapporto con il comunismo sovietico e internazionale: mentre nel confronto che caratterizza la guerra fredda Capitini appare neutrale (in senso proprio: neuter, né l'uno né l'altro) seppure non equidistante, l'antistalinista Fortini sceglie la parte dei comunisti e dell'Urss, nonostante “i durissimi e mortali contrasti” in cui ci si può trovare. Il testo non porta una data precisa ma è riferibile ai primi mesi del 1950, visto che Italia non violenta uscì sul finire del 1949. La lettera è stata pubblicata sul "manifesto" del 2 febbraio 1991. (S.L.L.)

Leggo, caro Capitini, che la polizia si interessa del tuo libro Italia non violenta. Bene, si dimostra così la preoccupazione dei governi che si chiamano cristiani di fronte alla verità della non violenza e di fronte alla non menzogna. Non hai bisogno che io ti dica di continuare: tu continuerai e noi con te. C’è però una cosa molto importante che vorrei chiarire: e in fretta, perché le armi stanno sbarcando, gli schedari dei distretti si aggiornano, e tanto tuona insomma, che finirà per piovere.
Voglio dire che i partiti politici contrari al Patto Atlantico svolgono una azione grande per il mantenimento della pace e siamo molti, fuori e dentro quei partiti, ad agire conseguentemente per essa. Ma non sappiamo quale sarà l’esito di questa lotta. Indipendentemente dalla esistenza si uno stato di guerra, lo Stato può richiederci prestazioni di carattere militare, “richiamarci” insomma; se non altro per istruirci all’uso delle nuove armi.
Tu sai che non posso condividere l’atteggiamento degli obiettori di coscienza. Personalmente il mio rifiuto alla violenza e alla uccisione si pone entro un disegno rivolto contro lo sfruttamento, la violenza e l’uccisione in tutte le loro forme, e richiede quindi una distinzione politica. Non accettare la tragicità inerente all’azione o al consenso all’altrui azione vuol dire dare aiuto ai Grandi Assassini, al sistema dell’assassinio organizzato che è la nostra società. Non posso mettere sullo stesso piano la violenza reazionaria e la violenza rivoluzionaria.
Mi si pone una domanda: come mi debbo comportare quando questo governo, in nome della sua attuale politica, mi chiamasse a prestare il servizio militare? Escludiamo l’ipotesi che si preferisca, invece che chiamarli alle armi, inviare in campi di concentramento tutti quelli che potrebbero essere considerati i quadri dell’opposizione; benché sia probabile l’esistenza di un piano ad hoc, a Washington o a via XX Settembre.
Credo che mi presenterò, se chiamato, alla autorità militare, e terrò su per giù (dico, per quanto si può garantire del futuro; e forse balbettando e arrossendo, per quel tanto di solenne che una dichiarazione simile comporta) un discorso di questo genere: “Mi avete chiamato, sottotenente di complemento della classe 1917; ed eccomi. da questo momento non obbedirò a nessuno degli ordini che mi vorrete impartire, perché le mie convinzioni mi impediscono di collaborare con le forze armate di un governo che certo è legittimo ma che è al servizio del privilegio e della oppressione di classe; di una patria che amo sebbene, da quando sono nato, abbia saputo solo perseguitare mio padre, me e i miei amici per motivi di razza e di convinzioni politiche. Fate dunque quello che voi chiamate il vostro dovere, come, con le presenti parole, cerco di fare il mio”.
Questa formulazione è destinata a non conciliarmi nessuna simpatia. Infatti io non motivo il mio rifiuto con ragioni morali o religiose, ma con ragioni politiche. E’ a questo governo, a questa politica, alla patria del “Corriere”, che io rifiuto, con tutta tranquillità, obbedienza. Così se mi si chiedesse che cosa fare se i cattivi russi aggredissero il mio paese, non risponderei, come forse farebbero i comunisti, che questa ipotesi è assurda e impossibile. Risponderei che non è attuale e presente, mentre attuale e presente è la politica di questo governo, il suo appoggio e la sua difesa ad una civiltà “occidentale” che mi auguro (quale essi la intendono) scompaia al più presto.
E’ comunque inutile che cerchino di farmi cadere in contraddizione per dimostrarmi reo di fronte alle loro leggi. Sono le leggi ed è giusto che esse mi colpiscano. So bene che il mio comportamento aiuta obbiettivamente una delle parti in conflitto. Infatti, se posso desiderare la neutralità giuridica del mio governo, non posso essere neutrale io. La parte che è dei comunisti e dell’Unione Sovietica è per me, tutto considerato, una parte più ricca di speranza per i miei simili italiani, per i poveri, gli sfruttati e per gli oppressi; una parte entro la quale ci si può trovare in durissimi e mortali contrasti, e che certo non è data una volta per tutte, ma che ha contro di sé tutti coloro che detesto, e le istituzioni e i privilegi che fanno intollerabile il nostro mondo.
Se fossi nel partito comunista probabilmente avrei accettato una diversa disciplina di azione. E d’altra parte, comprendo bene, il modo di comportarmi che ti ho esposto è assai poco coraggioso; anzi diciamo, è piuttosto vile. Andare in galera è una soluzione abbastanza facile, molto confacente, in genere, agli intellettuali, che sono sempre un po’ preoccupati di salvarsi l’anima e di fare bei gesti.
Ma è così. Non mi sentirei davvero il coraggio di agire diversamente. Posso solo dire di “no”. Lo dico individualmente, ma in nome di un pensiero non individuale.
So che non sarà possibile togliere a queste parole un sospetto di esibizione; se non altro perché sono parole. Penso ai milioni di uomini che non si esprimono, che non scrivono sui giornali. Pure, accetto questa ombra, perché il silenzio sarebbe ancora più colpevole. Tu sai come non siamo pochi, bensì in molti a volere la trasformazione della realtà umana, non appena mistica, religiosa o mentale, ma anche, e prima, reale; senza con questo voler affermare il diritto dell’uomo a un’illimitata superbia: anzi.
A questo compito della nostra e delle prossime generazioni, se così mi è permesso di parlare, la mia presente volontà è appena un impercettibile contributo, a paragone a quella espressa dal silenzio dei nostri coetanei che, per quel compito, sono stati uccisi. Io so che tu m’intendi, anche se non condividi tutte le mie opinioni: e di tanto ti ringrazio.

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