16.7.10

Filantropia. Un mio raccontino inedito dei primi anni Novanta.

Uscì presto al mattino per andare a ritirare la pensione. Le sue sopracciglia erano candide e lei non era in grado di fare altro che portarsi appresso le sue ossa infiacchite, barcollando. Portava una borsettina nera, vecchia quasi quanto lei, con la vernice in più punti scrostata.

Incontrò un boy scout, deciso a liquidare subito il problema della buona azione quotidiana. La sgambettò pertanto, per poi poterla risollevare.

Indolenzita sul fianco destro entrò nell’ufficio postale e si mise in fila, per due, appoggiandosi al muro.

Accanto a lei, a sinistra, un vecchio, rugoso quanto lei, sbavava.

Davanti era un giovinotto, alto e slanciato, forse un pensionato di invalidità. Non stava fermo un secondo. Batteva coi tacchi un ritmo terzinato “un-pa-pa, un-pa-pa”.

Il vecchio a un tratto si mise a sgomitare. La donna ne sentì l’osso del gomito, appuntito come un punteruolo: “ahiahi!”. Provò a dirgli di smetterla, senza successo; il vecchio anzi ora la colpiva scientificamente, più su più giù, ancora più su ancora più giù. C’era una piccola ragione d'allegria: il dolore sul fianco sinistro era riequilibrato da quello del fianco destro.

Ma all’improvviso il giovane invalido anteriore cambiò passo, cominciò a dar calci all’indietro, le sbatteva i tacchi sulle canne delle caviglie, con indicibile violenza. Aveva modificato il ritmo, seguiva il doppio binario, due colpi a destra e due a sinistra “tatà tatà”. “Ahiahi ahiahi!”.

Dietro a lei si collocò intanto un uomo di mezza età, basso, tarchiato. Forse era macellaio ed era stato delegato dalla mamma paralizzata. Le toccava il culo, il pervertito. Chissà che piacere a palpare l’osso scarnificato. Ma non era che l’inizio, prese a pizzicargli la pellaccia inflaccidita, forte, forte, sempre più forte: “aaaaaaaaaahi!”.

Davanti a lei, sulla sinistra, c’era uno magrissimo, forse sessant’anni, vestito di buona lana. Si voltò di scatto e le sparò uno sputo grasso sull’occhio destro.

Accanto al macellaio, nella fila dietro, intanto aveva trovato posto un centenario arzillo, altissimo, forse un generale, che le piazzò un pugno secco sulla capoccia: “ahi!” .

Circondata!

Ma l’impiegata era solerte, pagava con insolita rapidità. Dieci minuti d’inferno, ma solo dieci grazie a Dio.

Uscì che era uno strazio, ambulante, seppure con molta difficoltà. Ricurva, ondeggiante, cadente, variava i lamenti secondo l’alternarsi dei risentimenti: “ahiahi, ahiahi ahiahi, aaaaaaaaahi, ahi, oh!”. L’ultimo era un segno di sollievo, breve quanto la pausa del dolore.

Mentre era in questo stato la buttò a terra un ragazzo con la maglietta a strisce, che dalla moto le strappò la borsetta. La vecchia picchiò il mento prominente sulla pietra lavica del marciapiede.

Una donna pietosa che la conosceva, sorella del parroco, la soccorse. Le fece bere un bicchiere d’acqua al bar, aspettò che si rimettesse in sesto, provò a riconfortarla col mal comune (“E’ successo anche a mia zia”), la riaccompagnò a casa.

Sembrava tornata alla normalità. La buona samaritana la lasciò pertanto sull’uscio del suo pianterreno dopo averla aiutata ad aprire il portoncino con la chiave.

Entrò e richiuse. In casa c’era uno, uno di vent’anni, albanese ma bello: “Dove hai la borsetta?”. “Me l’hanno rubata per strada” rispose, e piangeva, e chiedeva pietà.

“Tu avevi altri soldi, qui, - gridò l’albanese - prendi altri soldi!” e al suo diniego, ed al suo pianto, rispose con due sganassoni, uno di destro e l’altro di sinistro, di piatto, sulle sue due guance, “ahiahi!”, ed altri due di dorso, “ahiahi!”, e con un pugno ove un tempo c’erano gl’incisivi: “ahimè!”.

Lei promise che gli avrebbe dato i soldi. Seguita da presso, andò al tavolo del cucinino, si sedette, aprì il cassetto. Si vide un mazzetto di deca, quattro o cinquecento mila lire, ma anche un pulsante, che lei pressò.

Un sibilo e da una sorta di armadietto venne fuori un robot, vecchia maniera, a misura d’uomo ma metallico, dal movimento a scatti.

In un batter d’occhio immobilizzò il ventenne e lo fece fuori con un colpo alla nuca. In men che non si dica, con lo strumentario che aveva incorporato, lo sventrò, estrasse le interiora, le incenerì con l’occhio, lo condì con sale e pepe, lo infiorettò col vicino rosmarino, lo legò con uno spago che sortiva dal gomito e, conciato a porchetta, lo ficcò nel forno.

Sembrava un forno antico, di laterizi, ma doveva essere ultravioletto, ultrasonico ed ultracatodico. Neanche un minuto dopo, un cosciotto ben cotto e già spellato stava davanti alla vecchia su di un piatto oblungo. L’occhio destro le si illuminò sotto il sopracciglio candido. Spolpato che lo ebbe, commentò: “Gli uomini sono buoni. I giovani soprattutto”.

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