11.7.10

Berlusconi è finito, l'Italia forse pure. L'articolo della domenica.


Berlusconi è finito. Ne sono ancora più convinto che la settimana scorsa. Aveva detto: “Ghe pensi mi”, promettendo miracoli e minacciando sfracelli, una volta che fosse tornato in Italia. Ma il suo “pensarci” non è andato oltre due o tre “penultimatum a Fini”, tre dichiarazioni, le solite, sulle intercettazioni, questa volta condite inopportunamente con una cavatina sui limiti della libertà di stampa. Per concludere il tutto è arrivato l’incontro con Casini, a cena con il mellifluo Vespa, per allargare il gioco, e l’intenzione dichiarata di riaprire il dialogo con il Quirinale.

Gli effetti di queste schermaglie sono a mio avviso modesti per quel riguarda gli stessi rapporti tra le camarille dei politicanti: Fini regge, Casini dichiara “prima la crisi poi si vede”, la Lega alza la voce. Ma addirittura deleterie sono le conseguenze per quanto riguarda l’immagine proiettata dal Cavaliere sul suo popolo.

Si era presentato finora come estraneo al “teatrino della politica”, come uno schietto uomo del fare, piuttosto vittima che non artefice dei giochi sporchi e delle congiure di palazzo dei politici di mestiere.

Naturalmente era un falso clamoroso. Anche prima che scendesse in campo con Forza Italia, Berlusconi era tra i protagonisti di quel mondo affaristico in cui le spregiudicate alleanze, i tradimenti, le finte, le menzogne e le ipocrisie realizzano un “teatrino” che fa ottimamente il paio con quello della politica. E tuttavia l’immagine di un “politico non politico”, capace di far saltare le convenienze e i tavoli reggeva.

Ora il re è nudo e a tutti oramai, anche agli osservatori più sprovveduti e ai sostenitori più benevoli, Berlusconi appare per quello che è: un politicante come gli altri, falso e intrigante come gli altri, il cui appeal sta essenzialmente nel conflitto di interessi, cioè nelle enormi ricchezze, nel controllo delle televisioni, nelle capacità di pressione e di ricatto con mezzi che vanno al di là della stessa politica. Il complesso delle corporazioni e dei ceti che hanno visto crescere la loro ricchezza e la loro potenza nell’illegalità dell’evasione fiscale e del lavoro nero forse continuerebbe (e potendo continuerà) a votarlo, ma l’amore è finito. Ed è finito con l’amore il progetto di un nuovo regime politico fortemente personalizzato. E’ possibile che Berlusconi continui a governare fino al 2013, ma a fare le carte non sarà più lui.

Di fronte al teatrino messo in piedi dal Cavaliere e ad altri teatrini che qua e là vengono montati in Italia e nelle sue istituzioni è possibile che molti non vedano altri processi in atto, più profondi e gravidi di conseguenze. A me sembra, per esempio, che il combinato disposto dei risultati del recente consiglio dei Ministri sulle condizioni contabili del federalismo fiscale (quello presieduto da Tremonti e “relazionato” da Bossi) e del niet alle Regioni sulla manovra anticipi una serie di slittamenti progressivi che porteranno a una sempre maggiore divaricazione tra un Nord, che più ricco e infrastrutturato, in qualche modo regge, anche con un surplus di tassazioni (vedrete che prima o poi si tornerà a una tassa locale sugli immobili) e un Centro Sud che non ce la fa. Io non so se fra i progetti della Lega ci sia o no la separazione, ma ho l’impressione che, senza novità al momento imprevedibili, essa si iscrive nella logica oggettiva delle cose e che probabilmente sarà il Sud stremato a chiederla, impossibilitato a trovare risposte al progredire della crisi (che non è affatto finita) dalla camicia di forza federalista. Ci sono delle forze importanti che sarebbero danneggiate da un esito di questo tipo e che avrebbero l’interesse ad opporsi, due soprattutto, la Chiesa cattolica che nello Stato italiano ha fatto il nido e l’industria italiana del Nord che dall’unità ricava ancora dei vantaggi per mantenersi il mercato del Mezzogiorno d’Italia. Tra gl’imperi industriali ce n’è poi uno, la Mediaset di Berlusconi, che per la natura dei suoi prodotti e dei suoi interessi è arciitaliano e, senza uno Stato italiano unitario con difficoltà conserverebbe le attuali posizioni di monopolio. Ma spesso neanche tra i potenti c’è consapevolezza profonda dei propri interessi. Così può accadere che per un Cota che sabota una pillola e finanzia qualche oratorio il Vaticano perda il proprio nido e che Berlusconi per una presidenza del Consiglio sempre più svuotata di poteri danneggi la sua stessa creatura mediatico-editoriale.

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