5.6.10

fashion&rock ("micropolis" - marzo 2010)

Su “La Stampa” del 20 marzo Chiara Beria d’Argentine costruisce un gustoso e sorridente ritratto di Angelo Colussi.

Saint Moritz, week-end scorso. A una cena di lor signori non è passato certo inosservato, con una giacca nera traslucida e scarpe coperte di borchie, la suola rossa scarlatta molto da divo del rock. Tre giorni dopo, nel suo nuovo quartier generale milanese in via Spadolini, Angelo Colussi, 59 anni, presidente del gruppo industriale umbro che sforna biscotti e panforti, pasta e riso, crackers e prodotti dietetici, dadi per brodo e succhi di frutta esce da una riunione. Inappuntabile grisaglia grigia; sul tavolo mappe di Google con i siti, cerchiati in rosso, dei 3 stabilimenti russi dove, insieme ai partner della compagnia InfoLink, produce a tutto spiano buona pasta all’italiana - “I russi amano i maccheroni” - per quell’enorme mercato in rapida espansione; l’agenda stracolma di chi guida un gruppo con 7 stabilimenti in Italia e 4 all’estero; 1400 dipendenti (altri 609 in Russia); 580 milioni di ricavi”.

Alla domanda se sia “la stessa persona che in privato è così fashion&rock?” Colussi risponde: “L’importante è non prendersi mai troppo sul serio”. Quindi rievoca la grande crisi dell’alimentare negli anni ‘70 e ‘80, quando le aziende straniere, più innovative nel marketing, facevano shopping di marchi italiani. Poi si effonde nel romanticismo aneddotico. Un padre di una durezza assoluta, Giacomo Colussi, che nel giorno del proprio compleanno, il 26 novembre 1999, un mese prima della morte, riunisce gli operai della fabbrica di Petrignano di Assisi e dice: “Vi lascio in buone mani”; ma al figlio, in azienda da oltre venti anni, aveva sempre detto che non avrebbe combinato nulla nella vita.

Angelo, invece, trasforma il lascito in un colosso, soprattutto grazie alla fortunata joint venture con Andrej Gurov, fondatore di InfoLink. “Gurov e soci erano ingegneri nucleari; hanno fatto business con le sigarette poi si sono buttati sulla pasta” – così narra “l’industriale molto rock che compra grano in Arizona, fa il panforte a Siena e i makaroni con gli ex comunisti”.

Tutto molto bello, quasi commovente.

Se non che ci è capitato di leggere un comunicato sindacale di fine febbraio. Le Segreterie regionali umbre di categoria Cisl, Cgil e Uil e le Rsu manifestano grandi preoccupazioni per il futuro della Colussi di Petrignano d’Assisi e chiedono un incontro all’Azienda, che salta e rinvia gli appuntamenti. A sentir costoro, mentre Colussi fa il fashion&rock a Saint Moritz e il classico a Milano, per lo stabilimento tuttora più importante del Gruppo si prospetta la chiusura: non arrivano le promesse produzioni finora in capo ad altre fabbriche, non si rinnova il contratto agli stagionali, si obbliga alle ferie tutto il personale. Forse i sindacalisti sanno più di quel che dicono: parlano di chiusura oggi per spacciare come un successo la cassa integrazione di domani. Ma è forte il sospetto che l’ottocentesco e duro Giacomo era meglio del postmoderno e rockettaro Angelo. Quello ce l’avrebbe messa tutta per non chiudere il “suo” stabilimento, questo appare molto più farfallone e inaffidabile.

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