21.6.10

Diamoci una mano. Su una proposta di Rita Cacchione e Cinzia Abramo.

Cinzia Abramo ha fatto circolare su fb la proposta di una compagna che le è (e mi è) cara, Maria Rita Cacchione, che da tanto propone una nuova forma di solidarietà, una sorta di patto politico e sociale tra lavoratrici e lavoratori, che coinvolga tutti, dai pensionati ai giovani precari. Si parte da una costatazione: che molte famiglie non arrivano alla fine del mese e che la perdita di una o più giornate in busta paga per lo sciopero comincia a diventare un problema per molti e molte. Ne consegue l’idea che un sostegno concreto da parte del pensionato che non perde la giornata o del lavoratore di categoria più alta che ha qualche margine, darebbe più forza alle lotte imminenti, che si prospettano lunghe e dure, a partire dello sciopero del 25 indetto dalla Cgil contro la manovra del governo. La proposta dunque è di “darsi una mano”, di cercare una compagna o un compagno con cui fare sciopero insieme. Su questa proposta, a parere di Cinzia, bisognerebbe impostare una vera e propria campagna, Diamoci una mano appunto.

Onestamente non credo che i pochissimi giorni che ci separano dalla data dello sciopero bastino a moltiplicare questa forma di “reciproca adozione” che le compagne propongono e in essa vedo, comunque, riflessi i segni di un tempo non buono. E’ però una tematica su cui bisognerebbe ragionare andando un po’ più a fondo.

Mi spiego. Ho sempre amato la parola “compagno” che nella sua etimologia allude alla condivisione del pane e dunque ad una forma assai alta di reciproca vicinanza. Sono perciò assai contento del recupero che ne ha fatto di recente Pier Luigi Bersani. Alla nozione di “compagnevolezza” credo che si possa ricondurre la proposta di Rita e Cinzia oltre che a una benintesa “solidarietà”.

Anche questa seconda parola è del resto forte e importante, strettamente connessa alla storia del movimento operaio. Solidus (soldo) era una moneta romana che costituiva la paga quotidiana dei militari, che erano pertanto solidati, soldati (erano anche salariati, ricevevano infatti un’indennità periodica per il sale, al tempo piuttosto caro). Il termine passò al gergo commerciale: solidale era il garante di un debito altrui, quando ne rispondeva in solido, cioè con il proprio denaro.

Ma la solidarietà che è alle origini della moderna storia operaia è qualcosa di più e si esprime al massimo livello proprio negli scioperi, sebbene con il tempo tenda ad istituzionalizzarsi. Durante gli scioperi, spesso lunghi, una “cassa di sciopero” sopperiva ai bisogni delle famiglie degli scioperanti che non ce la facevano e avevano dei bisogni particolari: alla cassa non contribuivano soltanto i lavoratori impegnati nella lotta, ma anche quelli di altre fabbriche, officine ed esercizi, a volte dell’intera città. Nella solidarietà operaia scompariva l’elemento paternalistico che caratterizzava la solidarietà mercantile, ove il garante solidale era in una posizione si superiorità rispetto al debitore garantito. La solidarietà operaia è, infatti, tra uguali, è reciproca e mutualistica, non riguarda cioè un rapporto a due ma fra tanti: “uno per tutti, tutti per uno” – direbbe D’Artagnan. E’ anche una solidarietà comunistica perché i tanti si fanno uno.

Lo dico brutalmente: rispetto a quella della storia nella solidarietà a due proposta dalle compagne vedo obiettivamente una regressione; che, naturalmente, non è loro, ma del nostro tempo. La classe operaia (che non è un dato, ma una costruzione politica e sindacale) ha perso ed ha vinto l’individualismo borghese. La classe operaia si è dissolta nuovamente in “volghi spregiati”, è stata disgregata, atomizzata; e con lei tutto il mondo del lavoro che il suo esempio e la sua presenza avevano contribuito a unificare.

Parlo delle coscienze, della coscienza di classe; ma parlo anche di fenomeni oggettivi, strutturali si sarebbe detto una volta. Fabbriche a rete, esternalizzazioni, precarizzazione hanno snervato la forza del lavoro: l’unificazione sindacale e politica che era stata compiuta nel corso di un secolo è al tramonto e nel mondo del lavoro, soprattutto ai livelli più bassi, non c’è più neppure l’omogeneità etnica che in Europa favoriva l’unità.

Tanto per esemplificare. Guardiamo ai lavoratori delle pulizie, nelle strade, negli uffici e nelle aziende. E’ un lavoro che coinvolge molte persone, ma è in massima parte esternalizzato, affidato ad agenzie e finte cooperative che in realtà fanno intermediazione di manodopera ed ulteriormente dividono in piccoli gruppi i lavoratori e li mandano ora qua ora là. E’ difficile che nasca la solidarietà di mestiere che un tempo esprimevano le robuste compagnie e organizzazioni sindacali di scopatori e di facchini.

Che fare in questo contesto? Credo che la ricomposizione di classe o quanto meno confederale di un mondo del lavoro (sia manuale che cognitivo) precarizzato, frammentato, multietnico etc. sia indispensabile, se si vuole reagire alla sconfitta storica che le forze dell’uguaglianza e del progresso hanno subito. Ma il come fare è molto al di sopra della mia capacità di elaborazione: da inguaribile ottimista immagino che sarà un processo lungo decenni e che la teoria verrà con la pratica sociale e di massa.

Quanto al problema concreto posto dalle compagne, per cominciare può andar bene la loro proposta, anche se presenta qualche difetto di cui ho detto e di cui immagino anche loro siano consapevoli. Forse il passaggio successivo è il rilancio dell’organizzazione territoriale, con un ruolo oltre le categorie, una sorta di ritorno alle origini in cui le Camere del Lavoro (o in Sicilia i Fasci dei lavoratori) mettevano insieme operai del braccio e della mente, della campagna e della città, della produzione e dei servizi, su obiettivi comuni che allora non mancavano come credo non manchino oggi. Forse sono queste organizzazioni, sparse e diffuse nei paesi e nei quartieri cittadini, il luogo giusto ove impiantare le casse di sciopero che servono alla solidarietà e alla lotta. E’ un tema su cui in Cgil bisognerà aprire un dibattito, forse una battaglia politica.

1 commento:

Cinzia Abramo ha detto...

ti ringrazio moltissimo per le tue riflessioni che ci aiuteranno sicuramente a migliorare, a discutere, a veicolare la proposta e a farne anche una lotta politica. Lo faccio anche a nome di Rita la quale non ha dimestichezza con i blog.

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