18.4.10

Gianni Rodari e il telegiornale di Enzo Biagi ("Rinascita" - novembre 1961).

Tra le attività di Gianni Rodari ci fu anche quella di critico tv: su "Rinascita", diretta da Palmiro Togliatti, era titolare della rubrica I canali della televisione. L'articolo del novembre 61, dal titolo Novità al Telegiornale, di cui qui riporto un ampio stralcio, analizza e giudica l'unico tg che al tempo c'era, dopo l'avvento alla direzione di Enzo Biagi. Mi pare un piccolo capolavoro soprattutto per due ragioni: l'acutezza delle osservazioni critiche e la superiore qualità della scrittura. Credo che Rodari colga con nitidezza i pregi del giornalismo di Biagi e ne indovini anche qualche difetto, che il tempo avrebbe attenuato ma non eliminato del tutto. (S.L.L.)

Novità al Telegiornale
Nell’attesa del “secondo canale” (che, per noi, mentre scriviamo, non è ancora stato inaugurato) la novità più vistosa della Tv, nelle passate settimane, rimane l’avvento alla direzione di Enzo Biagi, un professionista assai abile e capace il quale, nel succedere ai dilettanti, ai direttori per meriti politici, deve aver chiesto e ottenuto “carta bianca”, e prima di tutto il diritto di mantenersi, nella guerra intestina e clandestina delle correnti democristiane, al di sopra della melée.
Non si spiegherebbe altrimenti la repentina scomparsa dai teleschermi di tante prime pietre, inaugurazioni, processioni, manifestazioni, eccetera che fino a ieri l’altro, con generale disgusto, predominavano sul “video”, ed erano tante appunto perché le correnti della Dc, fra principali e subordinate, sono tantissime, e ciascuna pretendeva un numero del programma: per cui, se la domenica sera erano di scena una doroteo, un basista e un arcivescovo amico di Moro, si poteva star sicuri che la sera del lunedì si sarebbe fatto posto a uno scelbiano, a un andreottiano e a un sindacalista, o a qualche loro influente amico porporato. Un po’ per uno, per non fare male a nessuno, per non guastarsi con questo o con quello, perché non si sa mai. L’osservazione è già stata fatta da altri, ma valeva la pena di ripeterla.
Con Biagi il telegiornale è apparso subito (nemmeno queste sono parole nostre) “più vivace e meno conformista”, nella sua parte dedicata alla politica interna. Si tratta sempre di un non conformismo molto relativo, di una spregiudicatezza abbastanza a senso unico, esercitata nell’ambito della “convergenza” con qualche concessione verso il centro-sinistra; in sostanza si tratta sempre di un telegiornale tendenzioso e governativo, ma il cambiamento c’è. Dalla maniera “Corriere della Sera” siamo passati alla maniera, tanto per fare un esempio, de “La Stampa”, da uno stile parrocchiale, paludato e grigio, a uno stile più disinvolto e borghese. Perfino gli annunciatori, che prima parlavano con il tono di chi giunge a cavallo per portare un messaggio dell’imperatore nel momento più critico della battaglia, sembrano aver messo il piede a terra.
Dalla novità per sottrazione (meno cerimonie) alla novità per addizione: più cronaca, più inchieste, insomma più vita. Saremmo gli ultimi a dolercene, perché nella vita crediamo più che in ogni altra cosa, di fronte ai “fatti della vita” siamo curiosi come portinaie, e non ce ne vergogniamo. Se la parola d’ordine del telegiornale diverrà veramente “le telecamere all’aria aperta”, al plein air con cui gl’impressionisti uccisero la pittura d’accademia, sarà in ogni caso un avvenimento da salutare con favore. Siamo del parere che una telecamera, piazzata in qualsiasi punto della penisola e a qualsiasi ora del giorno e diretta da un telecronista intelligente, prima di sera riuscirà cento volte su cento a vedere qualcosa che non è mai stato osservato, a raccontare una storia nuova e vera.
Questa dichiarazione di favore sarebbe senza riserve se, già dalle prime sere del rinnovamento, non avessimo dovuto notare che le telecamere di Biagi, nell’osservare la vita, si comportano talvolta come i giornalisti a cui, più che le idee di Kennedy o di Khrusciov, interessa il colore dei loro vestiti. Il “colore” è la malattia professionale del giornalismo brillante. La notizia che fa “colore” viene preferita (ci si passi la bruttissima espressione) a quella che “fa realtà”. Analogamente la notizia “più commovente” è scambiata per “la più umana”. “L’Espresso” ha parlato di “clima deamicisiano” nella scelta dei fatti del giorno che viene operata dal telegiornale. Si può sottoscrivere. Il cacciatore di lacrimucce non torna mai col carniere vuoto. […]
Sarebbe davvero un peccato che il nuovo telegiornale finisse nel semplice tentativo di vestire di nuovo un vecchio cadavere: ciò che per ora non è, ma potrebbe anche accadere, proprio in un periodo in cui il pubblico televisivo si è fatto più critico e attento […].

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