19.2.10

Un manifesto di Rifondazione (con il commento di Alessandro Robecchi)

Del suicidio assistito (da Veltroni) della sinistra che sta a sinistra si è detto in lungo e in largo. Una cosa assai triste, soprattutto perchè in questo regimetto un po’ affarista e un po’ mignottesco, Dio sa quanto bisogno ci sarebbe di una sinistra che funziona e che propone. Alla fine, ci si accontentava di poco. Non si riesce a mandare nessuno in Parlamento, e va bene. Non si vince quando si va uniti, e va bene. Non si vince quando si va divisi, e va bene pure quello. Ciò che rimaneva - si sperava, almeno - era un minimo di elaborazione culturale, una capacità di leggere la realtà, il mondo, la società con occhi diversi. E invece, eccoci al manifesto per il tesseramento di Rifondazione, un bel tacco a spillo di quelli da velina a Palazzo Grazioli, un trampolo Santanché-style, un feticcio dell’erotismo usa-e-getta che va tanto di moda oggi, da villa Certosa al Centro Benessere sulla Salaria, dai tronisti della De Filippi all’immaginario puttaniere che va per la maggiore. Per dieci minuti d’orologio ha fissato quel manifesto cercando di coglierci dentro un’ironia, una critica, un doppiosenso spiazzante che ne svelasse il senso. Inutile. Stavo per darmi del cretino (scemo che sono, non ho capito il messaggio che i compagni di Rifondazione volevano dare!) quando ho letto le argute motivazioni. Che sono le più sceme possibili e immaginabili. Riassumo. Non siamo tristi. Non siamo bacchettoni. Siamo comunisti (comuniste, nel caso). Sentite qui Rosa Rinaldi, responsabile della Comunicazione di Rifondazione: "Volevamo fare delle inversioni di senso, spiegare con ironia che la classe non è un luogo separato. Le nostre donne sono normali, non sono trinariciute, ingolfate dentro giubbotti punitivi. Quando finiscono di lavorare indossano scarpe eleganti escono e vanno a ballare". Capito? Peggio ancora Angela Scarparo: "Si può mettere un pantalone blu serissimo e sotto scarpe rosse e calze a rete". Perfetto per la rubrica "chissenefrega". Ora, naturalmente ognuno si veste come vuole e questo non c’entra né con il comunismo né con la falce né con il martello. Ma un po’ col cervello sì. Perché la sensazione è di vedere ancora una volta (l’ennesima) la rincorsa a un modello dominante che è poi quello seduttivo-berlusconico-televisivo. Non vogliono essere tristi, giusto. Ma cosa c’è di più triste di quei trampoli zoccola-style? Un po’ in ritardo compagni! Qualcuno avverta i cervelloni della comunicazione di Rifondazione che quella roba lì è già morta e sepolta, che è crollata sotto le macerie di Palazzo Grazioli, che fa ridere dai tempi di Noemi in qua, che la filosofia mignottesca di Videocracy ha scandalizzato persino gli americani e stupisce vedere che affascina ancora la direzione di Rifondazione qui da noi. Non solo si insegue un modello estraneo, lontano, un po’ mortificante, ma si sceglie pure un modello in declino, vecchio, sputtanato. Veramente il problema di Rifondazione è che le sue militanti sono percepite come tristi? Sarà, è una cosa che sa tanto di propaganda della destra (la solita solfa, siete tristi, siete noiosi, siete antipatici… ). Veramente vogliono convincerci di non esserlo mettendo la falce e il martello su un tacco a stiletto? C’era una volta l’egemonia culturale comunista. Ora ci sono questi qui. "E’ un’idea ironica per dire che le nostre donne non sono trinariciute". Perbacco. Ora, con quei tacchi sì che sono allegre! Manca solo il tubino nero, e poi tutte alle feste di papi! In italiano si chiama sudditanza culturale. Ma questi qui non dovevano far piangere i ricchi? E allora, perché piangiamo noi?


(dal sito di Alessandro Robecchi - Sezione Varie ed Eventuali)

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