23.2.10

La successione a Berlusconi.

Stamattina alla 7 Piroso, circondato da un “nutrito manipolo” di analisti, in prevalenza giornalisti, da Maria Giovanna Maglie a Gigi Moncalvo, passando per Rina Gagliardi, ragionava di successione a Berlusconi.

Il filo conduttore del programma era il seguente: Tremonti avrebbe i numeri, ma è visto come uomo della Lega; Fini s’è bruciato; Bertolaso l'hanno bruciato; tutti gli altri sono mezze cartucce; non resta che Marina Berlusconi. E lì una sfilza di elogi: ha il temperamento del padre; è una grande imprenditrice; si circonda di ottimi consiglieri, ma alla fine decide lei; negli ultimi tempi i suoi interventi “politici”, a difesa del padre e non solo, si sono fatti più frequenti. Addirittura la trasmissione ci ha regalato, mentre scorrevano le sue immagini, un vero e proprio repertorio di citazioni della “delfina”: su suo padre, su Di Pietro, sulla sinistra, su De Benedetti, sugl’invidiosi.

Come in tutti questi odiosi talk-show c’era un gioco delle parti: Maglie e Moncalvo entusiasti dell’idea; un destrorso moderato che diceva “ma no, dietro al Cavaliere sta crescendo una classe dirigente”; un sinistrorso moderato che diceva “non sarebbe bello”; Gagliardi che citava Valentino Parlato e si affidava alla “fantasia della storia”.

Mi sono fatto l’idea che, ne siano o no consapevoli il conduttore e gli autori del programma, si stia preparando una discesa in campo in grande stile, per una successione che si nega poter essere imminente, ma potrebbe rendersi necessaria nel caso di una imprevedibile emergenza.

La trasmissione usava nei sottotitoli un riferimento a Dynasty, una soap-opera che ebbe successo negli anni 80. Non ne ho mai visto una puntata intera, ma dai frammenti che ricordo credo si trattasse di una dinastia industriale, con complicate relazioni familiari e dure guerre intestine. Io credo che i riferimenti potrebbero e dovrebbero essere altri, non tanto la Corea del Nord e la sua monarchia “comunista”, ma quei paesi del terzo mondo (talora del secondo e mezzo) in cui vigono democrazie familistiche, in cui cioè si svolgono elezioni più o meno regolari, ma in cui uno dei poli del sistema politico è saldamente occupato da una famiglia che è anche potentato economico e vertice di un ramificata rete di clientele. Parlo dell’India dei Nerhu-Gandhi, del Pakistan dei Bhutto, ma anche della Grecia dei Papandreu e dei Karamanlis. Anche il solo parlare di una successione in famiglia mi pare l’esito di una profonda regressione non solo politica, ma anche culturale.

1 commento:

XXXXX ha detto...

scenario desolante... se non altro da noi le elezioni si possono dire regolari in quanto a svolgimento...

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