11.1.10

Sandro Portelli ricorda Beniamino Placido.


Il brano che segue è parte dell'affettuoso ricordo di Beniamino Placido che Sandro Portelli ha diffuso attraverso il suo blog (http://alessandroportelli.blogspot.com/). Di Placido io voglio rammentare il passaggio di una bella intervista radiofonica. Gli chiedevano le ragioni del suo successo come tuttologo. Rispose:"Tuttologo? Tuttologo è Umberto Eco che sa veramente tutto. Io sono un nientologo. Ma proprio per questo ho tante curiosità, le stesse del pubblico".


Beniamino Placido, mio maestro

Beniamino Placido amava i paradossi, e forse da un paradosso dobbiamo partire: in molti hanno scritto che fu professore di letteratura americana alla Sapienza e io, suo allievo, devo precisare che professore non lo fu mai: l’università non fu capace di accogliere un’intelligenza come la sua, e questo già dice qualcosa su com’era l’università e su come si stava preparando a diventare. Più che professore, Beniamino Placido fu un maestro, uno che insegnava perché amava farlo e che oltre ai testi e ai fatti insegnava un modo di ragionare in cui il rigore era piacere e il piacere era rigore. Per esempio, fece rinviare la pubblicazione del suo fondamentale Le due schiavitù perché aveva deciso che bisognava scrivere una nota – che poi diventò quasi mezzo libro e fu la critica più devastante alle scorciatoie quantitative della storia “cliometrica” alla moda. Su quella nota, fra l’altro, io ho fondato non poche delle cose che ho scritto e insegnato poi.

Beniamino teneva in facoltà dei seminari di storia degli Stati Uniti, e ci faceva capire il senso di quella storia usando tutti i mezzi necessari, dalla storiografia alla letteratura, al cinema. Non parlerei neanche di “interdisciplinarietà”: direi piuttosto che non esistevano barriere e separazioni fra i campi del sapere, che le connessioni andavano e venivano seguendo la logica imprevedibile di un’intelligenza capace di creare connessioni evidenti dove gli altri vedevano solo distanze e gerarchie. Benito Cereno e La capanna dello zio Tom erano le chiavi per ragionare sulla schiavitù, Via col Vento, romanzo e film, per la Depressione e il New Deal: semplicemente perché (e fu lui a farmelo capire partendo da Benjamin) non esiste un “rapporto fra” letteratura e società, ma esistono una cultura, un tempo, un mondo in cui la letteratura agisce come vi agiscono con le proprie forme e modi la politica, il cinema, l’economia. Per forza che l’università non riusciva a inquadrarlo.

Perciò Beniamino non aveva niente di quello snobismo modaiolo che pretende di scandalizzare e meravigliare proclamando che il “basso” è in realtà altissima arte. Il basso restava basso: prenderlo sul serio significava rispettarlo come tale secondo le sue categorie e i suoi progetti. E’ indimenticabile la lezione (ma erano poi “lezioni”? erano già qualcosa di diverso, con un senso dell’umorismo, un gusto della sorpresa e del dialogo che sarebbe poi diventato lo stile inimitabile dei suoi interventi in televisione) in cui ci raccontò la strategia usata dal produttore David Selznick per trasformare nella percezione del pubblico il film da prodotto di massa e quindi di seconda categoria a “opera d’arte”: prendendo atto della “bassa” necessità di permettere agli spettatori di andare in bagno durante un film di quella durata, e di ritrovare il posto rientrando, ebbe l’intuizione geniale di fare un intervallo e di vendere le poltrone numerate, cosa fino allora associata solo con la cultura d’elite del teatro e dell’opera. Raccontava dello scandalo delle persone perbene quando scoprirono che i poveri qualche volta spendevano i soldi dell’assistenza per andare al cinema – e richiamava quei versi del Re Lear che spiegano che se si toglie il “superfluo” alle persone gli si toglie anche il diritto di sentirsi pienamente umani, non ristretti alla mera sussistenza. e con il diritto di scegliere. Io a quel tempo lavoravo in borgata e sbattevo sempre contro il pregiudizio secondo cui i baraccati erano tali per scelta, perché poi avevano beni voluttuari come la televisione. Furono quel discorso di Beniamino e quei versi di Shakespeare che mi aiutarono a capire la signora del Borghetto Prenestino che mi raccontava di non avere mangiato per comprare al figlio il televisore perché non si sentisse umiliato dai suoi coetanei a scuola.

[…] una volta, quando tutti erano extraparlamentari, disse che stava cercando di diventare marxista. Non lo è mai diventato, non come i marxisti immaginari o dogmatici di allora, ma ha sempre tenuto Marx nella sua cassetta degli attrezzi, tirandolo fuori quando, e solo quando, serviva. Che mi pare una cosa molto marxiana.

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