16.1.10

La sessuofobìa cristiana (Alfonso Maria Di Nola)

Alfonso Maria Di Nola (1926-1997) fu un grande intellettuale dalle grandissime curiosità. Studioso e docente di antropologia religiosa, incardinava il suo sapere ricchissimo e vario in un originale marxismo che sussumeva gli studi antropologici e etnografici dell'ultimo secolo e si nutriva di una conoscenza profonda del popolo meridionale. Amico di Pasolini, che della sua Antropologia religiosa scrisse una recensione entusiasta ed accurata, quasi da solo compilò per Vallecchi una Enciclopedia delle Religioni. Collaboratore assiduo de "il manifesto", fu titolare sul quotidiano comunista di una settimanale rubrica sui santi italiani. Dall'inserto settimanale del quotidiano comunista, "la talpalibri" del 16 novembre 1990, pubblico qui la parte iniziale di un'ampia recensione ad una traduzione del "Kamasutra", che era appena uscita per la cura di Cinzia Pieruccini e le edizioni Marsilio. Di Nola coglie l'occasione per fare il punto, per contrasto, sulla sessuofobia cristiana e cattolica. Lo scritto è densissimo e pieno di spunti attuali più ora che allora. Pubblicherò in un'altra occasione la seconda parte del saggio, dedicata alle implicazioni storiche e religiose del grande trattato indiano sull'amore. (S.L.L.)

Se c'è un punto irrimediabilmente fallente nei tentativi più volte rinnovati di liberare il cristianesimo da talune opprimenti ipoteche storiche, esso tocca la valutazione della sessualità e della condizione femminile. Le dichiarazioni di principio, il riconoscimento critico di posizioni pervicacemente erronee, il periodico fiorire di interpretazioni nuove e liberatrici del messaggio cristiano svaniscono di volta in volta e rivelano la loro inconsistenza in presenza della storia reale, nella quale l'arcaica fobia per la sessualità e, in ultima analisi per la fisicità dell'uomo, porta a riconfermare con tutta la solennità autoritaria dei dettati irrinunziabili, l'esclusione della donna dal sacerdozio, l'eminenza del celibato e i limiti pretestuosamente "morali" dei rapporti amatori.
Si resta tuttora ombelicalmente legati a un contesto ideologico molto intricato, nel quale componenti di tipo magico e primordiale, come quelli connessi all'impurità tabuizzata degli organi e dei rapporti sessuali, si coniugano a stimoli filosofici e a particolari visioni del mondo. Nella sostanza, aree ampie e predominanti dei fedeli delle varie confessioni cristiane e, in prevalenza netta, della confessione cattolica, hanno ereditato, senza realizzarne radicali mutamenti, i pregiudizi che portarono i cacciatori della selva a impedire alle loro femmine mestruate di toccare le armi da caccia per sottrarle al rischio di divenire inefficaci. Pregiudizi di tale genere sono venuti ad arricchirsi di motivazioni ideologiche della tarda antichità: quelle neoplatoniche e semitiche che proclamano la loro intolleranza verso il corpo e fanno del corpo l'ostacolo sulla via di una salvezza che diviene realizzabile soltanto come fuga dal tempo e dalla storia.

Tabù cristiani
Di Plotino il suo biografo testimonia che ebbe tanto in orrore il proprio corpo che mai lasciò che pittore lo ritraesse; proprio come racconta di uno dei primi cristiani l'egizio Antonio, eremita del deserto, odiatore di ogni carne nella sua ipocondria malsana, il quale non volle mai apprendere a leggere e a scrivere temendo i contatti solleticanti con gli scolari dell'età sua e mai si lavò per non vedere la propria sessualità. Del resto, il testo evangelico aveva proclamato che alla perfezione si accede soltanto con l'eunuchismo e la negazione della propria istintualità.
Il disagio e il malessere del corpo nel cristianesimo non dipendono, perciò, soltanto dalla mentalità magica di remoti terrori e tabù. Essi divengono i segnali di una concezione del tempo storico avvertito come negativo, caricato di colposità e di peccato, costituito in una condizione di originaria mortificazione che può redimersi soltanto negando la sessualità e la generazione carnale: di qui celibato, monachesimo, odio per la donna.
Parallelamente, il cristianesimo come formazione religiosa originariamente propria di cultura pastorali e patriarcali, al rifiuto della sessualità aggiungeva una revisione del suo originario radicalismo. La struttura sessuale unitaria dell'uomo veniva drammaticamente scissa in una dicotomia schizofrenica che poneva la medesima unica funzione e gli stessi organi su due piani opposti e conflittuali: da un lato sacralizzandoli nella loro fisiologia generazionale (l'unione divenuta sacramento matrimoniale poiché destinata a produrre figli) da un altro condannandoli, maledicendoli e detestandoli nella loro fisiologia amatoria ed erotica (la sottile rete di ossessioni costituente tutta la teologia morale del sesto comandamento). La valenza ideologica e sovrastrutturale è fin troppo evidente per essere ricordata: le società patriarcali e tradizionali esigono la produzione e riproduzione incessanti di forza-lavoro e, quindi, le energie sessuali devono obbedire a tutta l'animalità di una funzione riproduttiva che dia braccia e corpi alla fatica e alle guerre.

La cultura dell'eros
Queste condizioni storiche spiegano, almeno in parte, perché nelle nostre culture le trattazioni sull'eros e sulle tecniche amatorie entrino nell'ombra del vietato, del perverso e del censurato. Il discorso sulla sessualità esprimente il puro piacere può mettere in pericolo le strutture del potere e del modello prevalente. In tale senso è "osceno" nella valenza originaria di un termine, obscoenus, che indicò primariamente, nel lessico degli aruspici, l'uccello che portava disgrazia. Sono gli stessi motivi che hanno circondato, nelle nostre società, queste manifestazioni, di quell'aura malsana di curiosità e di mistificante segretezza, che giunge a negare, in alcune scuole elementari, ai bambini la spiegazione della loro sessualità anatomica o che spinge, in una trasmissione televisiva sul corpo umano, una persona intelligente come Piero Angela a non trattare delle funzioni sessuali e degli organi riproduttivi, quasi gl'italiani ne fossero privi.
Sono, i nostri, paesi nei quali, per naturale reazione, si è verificata nei secoli la più imponente manifestazione di bacchettonismo censorio e di sfrenata e nascosta dilettazione pornografica. Il modello ufficiale predicava un distruttivo eunuchismo anche ideologico, e Pietro Aretino scriveva i dialoghi sulle arti delle puttane e delle ruffiane o il papa Pio II Enea Silvio Piccolomini tracciava pagine fra le più "sudicie" della nostra letteratura.
Questo asfissiante clima di colpevolizzazione del sesso fa comprendere la totale carenza di una trattatistica riguardante la sessualità come funzione erotica. Non fu un vero discorso sui giochi d'amore quell'Arte amatoria che meritò ad Ovidio, probabilmente come motivo pretestuoso, l'ira d'Augusto, otto anni di esilio e le morte in uno sperduto paese del Mar Nero, opera di tenera e castigata poesia che l'ultimo medioevo degli amatori cortesi poté fare suo codice. Né, per giungere all'estremo contrario, fu un prontuario di tecniche sessuali accettate come proprie dell'uomo, il repertorio perverso, spesso noioso e ripetitivo, di Sade. Si trattava sempre di giocare d'azzardo, ai limiti, fuori da una normalità moralistica: e chi avesse voluto trovare i codici degli organi sessuali e dei loro piaceri, fino alle sottigliezze della più raffinata libidine aveva - ed ha - a sua disposizione soltanto le opere di teologia morale redatte da frati e da preti, traboccanti di particolari anatomici e delle più riservate pratiche di "vizio".

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