5.12.09

Una storica sentenza del Tribunale di Perugia.


Filippo Anfuso, catanese, fu un gerarca fascista piuttosto importante. In fine di carriera fu addirittura ambasciatore della R.S.I. nella Germania nazista.
Tra le gesta politiche del gerarca - braccio destro (o addirittura "sottopancia") di Ciano al Ministero degli Esteri – si può annoverare l’organizzazione dell’assassinio di Carlo e Nello Rosselli esuli in Francia, avvenuta l’11 giugno 1937. L'Anfuso dirà di aver provato sdegno per le leggi razziali, ma, dopo l’8 settembre del 1943, telegrafò a Mussolini "Duce, con voi fino alla morte", scegliendo una fedeltà cieca che nei fatti era anche fedeltà all’alleato tedesco.
Da ambasciatore della Rsi nella Germania nazista nei famigerati 600 giorni operò - in stretta sinergia con Mussolini ed il "governo" di Salò - per "convincere" il maggior numero possibile dei 600.000 soldati italiani ammassati nei lager tedeschi a indossare la divisa di Salò. L'obiettivo era di trasportarli in armi in Italia (in parte minima avvenne) e utilizzarli nei rastrellamenti di partigiani.
Il 10 marzo 1945 l’Alta Corte di Giustizia, in contumacia, condannò Anfuso a morte per l'assassinio dei fratelli Rosselli. La sentenza avrebbe dovuto essere inappellabile, ma nel 1946 la Cassazione ammise un nuovo processo. Dopo una nuova condanna a Roma, il processo di appello si concluse il 14 ottobre del 1949 nel Tribunale di Perugia. Dall'accusa di omicidio nei confronti dei fratelli Rosselli Anfuso fu assolto con motivazioni incredibili, che suscitarono fortissime e diffuse riprovazioni. Con lui furono assolti Roberto Navale, capo del controspionaggio in Piemonte, ed Emanuele Santo, l'agente segreto che manteneva i contatti con la Cagoule, l'organizzazione di estrema destra francese che eseguì l'assassinio e ottenne dal governo italiano un ricco carico di armi per le sue attività.
Una sentenza tribolata e contorta.
Immediatamente dopo, Piero Calamandrei scrisse: "Qui il giudice estensore ha voluto salvare l’anima: ha voluto far sapere ai cittadini che quegli assolti erano colpevoli e che, se si fosse potuto fare giustizia, avrebbero essere dovuti condannati".
Lo storico Mimmo Franzinelli, riprendendo gli eventi in Delatori. Spie e confidenti anonimi: l’arma segreta del regime fascista, Mondadori, Milano, 2002 - ha scritto: "Filippo Anfuso fu assolto, perché tra il 1946 e il 1949 quel Tribunale assolveva tutti. La ragione è semplice; molti magistrati della procura perugina erano debitori nei confronti di Piero Pisenti, ministro fascista della giustizia".
La motivazione della sentenza conteneva peraltro evidenti illogicità. Vi si trova scritto che "...dal complesso delle prove raccolte è emerso in modo indubbio che elementi italiani diedero a Santo Emanuele (colonnello dei carabinieri, n.d.r.) e Roberto Navale l’incarico di provvedere all’uccisione di Carlo Rosselli, per toglierlo di mezzo come antifascista pericoloso, e che costoro presero accordi coi cagoulards...".
La logica conclusione sarebbe la dichiarazione di responsabilità dell’Emanuele e del Navale per l’uccisione di Carlo Rosselli, ma la Corte se la cava con un dubbio: visto che tra i fascisti francesi della cagoule si registravano non poche attività criminose, indipendenti dai rapporti con lo spionaggio italiano, non si poteva del tutto escludere che il delitto fosse avvenuto per scelta degli squadristi francesi, magari all’insaputa di Emanuele e di Navale. In conseguenza di questo dubbio, affidato a supposizioni incerte, la corte li assolveva per insufficienza di prove. Filippo Anfuso, espressamente accusato come mandante dal suo coimputato Emanuele (come riportato negli Atti di Istruttoria sul delitto Rosselli - verbale di interrogatorio dell’imputato Emanuele del 16 settembre 1944), fu per le stesse ragioni assolto anche lui. Rimasto latitante fino alla sentenza di Perugia, riprese poi sotto altra veste (deputato del Msi) la sua attività politica.
Navale, che negli anni di Salò era diventato dirigente Fiat e aveva collaborato con Valletta nel doppio gioco tra repubblichini e partigiani, assolto dall’accusa di omicidio, non si salvò tuttavia dall’epurazione (vedi l’articolo Un fascista particolare di Marco Revelli su “il manifesto”, 23 novembre 1991).
Emanuele era già stato cacciato dai servizi segreti nel 1941 per un grosso ammanco di cassa.

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