25.11.09

Il ponte sullo stretto. Considerazioni irrituali sui nuovi dirigenti del Pd, su Catiuscia Marini, sulla Sicilia e i siciliani.







Al mio paese natìo, dove la forte sinistra di un tempo è stata, per colpe soprattutto sue, spazzata via come da uno tsunami, a tenere il punto contro la mafia e contro la destra c’è un giovane che stimo, Giuseppe Sferrazza, il quale da candidato sindaco del Pd ed ora da consigliere comunale di opposizione è nei fatti investito del faticosissimo compito della ricostruzione. Stamani ho trovato su fb una sua brevissima nota a commento dell’elezione della segreteria del Pd e della nomina dei presidenti di forum. “Dove sono i siciliani?” – si chiede. Domanda legittima e angosciante.
I membri della segreteria sono 12. Bersani ha voluto solo quarantenni che vengono da esperienze politiche e amministrative nei territori. Nomi, generalmente, poco noti. Tra loro non conosco che l'umbra Catiuscia Marini. La ricordo generosa combattente nella Fgci. L’ho seguita come sindaco di Todi e gentilmente criticata perché un po’ troppo amica del vescovo (vedi la questione del Todi Festival) e di Luisa Todini. Ma i voti della rielezione sembravano dare ragione a lei. Peccato che, alla fine della sindacatura, non abbia lasciato dietro di sé un gruppo dirigente capace di succedergli senza scannarsi al suo interno. Il centrosinistra ha perso il Comune. E’ un po’ colpa sua. Ma lo è più delle leggi autoritarie (volute a destra e sinistra) che ci hanno regalato sindaci demiurghi, se non addirittura podestà, ed hanno ridotto gli assessori a funzionari del sindaco e i consigli comunali a orpelli (ben retribuiti, ma orpelli). Nessuna divisione di compiti è ammessa, nessuna direzione collegiale. Ovunque si vuole "un uomo solo (o una donna sola) al comando". Con queste regole lo scontro interno si fa durissimo.
Per Catiuscia Marini la chiamata alla segreteria è forse, oggi, un promoveatur ut amoveatur, un togliere dal campo una possibile concorrente dell’attuale zarina dell’Umbria, la presidente della Regione Lorenzetti. Ma credo che Bersani abbia fatto bene con lei e con gli altri 11 a voler sperimentare un gruppo dirigente radicalmente rinnovato. Per la cara Catiuscia, di cui non conosco l’incarico specifico, una speranza e un consiglio. La speranza è che, in segreteria nazionale, ritrovi l’impegno disinteressato, la curiosità per il nuovo e la voglia di cambiare il mondo della sua giovinezza figgicciotta; il consiglio è di tenersi lontana da cardinali, grandi costruttori e poteri forti in genere.
I presidenti di forum sono, ad oggi, 16 quanti i forum (grosso modo le antiche sezioni di lavoro). Sono quasi tutti dirigenti sperimentati o comunque nomi noti, da Martini a Fassino, da Livia Turco a Fioroni, da Rognoni a Bachelet. E’ una nomenklatura per cui (salvo qualche eccezione) non ho molta stima, ma è quella lì. Forse si poteva evitare qualche presenza ingombrante, come lo screditato Violante, l’amico di Mirello Crisafulli. Per vederli in pensione bisogna aspettare, comunque: occorre che i quarantenni crescendo ottenendo qualche successo (contro Berlusconi si spera, e non nelle guerre intestine per il rinnovamento).

Torniamo a Sferrazza e alla Sicilia.
E’ possibile che non ci sia tra i Pd dell’isola un quadro politico quarantenne da sperimentare in segreteria?
E se non c’è un notabile di prestigio cui far presiedere un forum, non se ne poteva fare un diciassettesimo (alla faccia dei superstiziosi) per la legalità e contro le mafie e affidarne la guida a un Crocetta, a un Lumia, a una Rita Borsellino?
Si sarebbe potuto, ma non si è voluto.

Il problema a questo punto non è recriminare contro “il continente”, ma capire ciò è accaduto.
Intanto il regionalismo di tipo feudale che si è venuto affermando con la riforma del Titolo quinto della Costituzione rende sempre più difficile la funzione di “partito della Nazione” che alcune (poche) teste pensanti come Reichlin affidano al Pd. Un partito della nazione, infatti, dovrebbe investire impegno e valorizzare dirigenti proprio nelle zone dove è più debole. Il Pd lo ha fatto poco al Nord e niente affatto Sicilia. Perché? Perché, al di là delle formule e delle ambizioni, il Pd è un partito regionalizzato, in cui il peso delle regioni si misura in iscritti, voti, numero di sindaci, di assessori, di cariche di sottogoverno. Il Pd siciliano, ormai, conta come il due di coppe quando la briscola è a bastoni. E, per di più, il ceto politico che lo rappresenta è in gran parte vecchio, stanco e corrotto. Non parlo, ovviamente, di età o di codice penale (che riguarda solo casi estremi), ma della tendenza diffusissima al consociativismo e al clientelismo, oltre che alla moltiplicazione di cariche, incarichi e prebende. Si spiega così il fatto che, nella crisi in atto alla Regione autonoma, le “mosse” dei Pd siciliani vengano da molti giudicate subalterne alla partita vera. Quella che tra “lombardiani” e “cuffariani”. L’interpretazione è forse malevola ed inesatta, ma il fatto che circoli significa che il Pd siciliano non ha una sua politica leggibile.
Come uscire da questa debolezza? Come far contare il Pd siciliano nell’interesse dei siciliani e dello stesso Partito democratico nazionale?
Non ho una linea organica da proporre. Da persona doppiamente esterna (al Pd, in cui non sono entrato, e alla Sicilia, da cui sono emigrato), non potendo dare il cattivo esempio, provo a dare dei buoni consigli. Secondo me ci vorrebbero in primo luogo dirigenti nuovi, non compromessi, capaci di una svolta, che scontino una iniziale inevitabile impopolarità, ma siano in grado di dare un stop, anche morale, al degrado. Si tratta di dire basta alla politica come carriera e al ceto politico come corporazione strapagata e privilegiata. Occorrerebbero azioni esemplari, per esempio l’uscita in massa dai tanti enti da abolire, società pubbliche, partecipate, etc., le tante greppie di sottogoverno che sostanziano il consociativismo.


E ci vorrebbe anche il recupero di una visione nazionale, non sicilianista, della lotta per lo sviluppo. Lo ripeto, a costo di essere noioso: “la Sicilia prima di tutto” è uno slogan sbagliato. Non tanto perché è lo storico slogan della mafia, che dalle provvidenze statali per la Sicilia ha sempre tratto vantaggio, ma anche perché toglie ai siciliani democratici una possibilità importante, quella di essere la guida per un nuovo meridionalismo. Non c’è oggi nessuna buona ragione per sostenere la peculiarità della Sicilia rispetto al complesso delle regioni meridionali: uguale il sottosviluppo, uguale la fuga dei giovani e dei migliori cervelli, uguale il peso di una borghesia parassitaria e di un ceto di politicanti famelici. Una volta c’era, come differenza, una mafia siciliana assai più potente di altre centrali criminali. Non è più così. Credo che la ‘ndrangheta sia oggi più ricca e insidiosa di Cosa nostra. E non scherzano né certi clan camorristici né la Sacra Corona. Occorre una politica per tutto il Meridione che unisca lavoratori, giovani, laureati e diplomati, imprenditoria sana, funzionari pubblici stanchi di inefficienze, uomini e donne di scuola e di scienza, mettendo fine alla concorrenza tra regioni, province, comuni del sud, ove assessorini di merda se ne fottono dello sviluppo e si interessano solo dei progettini in cui loro e i loro amici possano trovare una mangiatoia. L’insopportabile localismo delle amministrazioni meridionali è il nemico di ogni possibile progresso; perfino le teste pensanti della destra si pongono il problema, naturalmente alla maniera della destra (vi rinvio a un mio vecchio articolo, scritto dopo l’intervento di Tremonti al convegno dei giovani industriali - http://salvatoreloleggio.blogspot.com/2009/11/tremonti-capri-nostalgie-della-cassa.html ). Paradossalmente la particolare debolezza del Pd siciliano nella gestione del potere locale può essere un vantaggio nel contrastare questo andazzo. Se c’è uno slogan da suggerire al Pd siciliano perché riguadagni credibilità a Roma e in Sicilia è questo: “Il Sud unito per la legalità e lo sviluppo – Facciamolo noi il ponte sullo Stretto”. Un ponte sullo stretto e un altro tra Napoli e Palermo, questo è quello che ci vuole e che si può fare per salvare tutto il Sud dal disastro cui la crisi lo spinge. Non quello di Berlusconi e di Lombardo che non si farà mai e la cui progettazione serve solo ai loro amici e agli amici degli amici.

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