6.10.09

La verginità non è innocenza (S.L.L. - micropolis dicembre 2005)

Da "micropolis" del dicembre 2005 riprendo questo mio vecchio pezzo che mi pare utile al dibattito attuale. Contiene tra le righe una domanda radicale che rivolgo ai frequentatori del blog: è possibile realizzare un processo di liberazione sociale, civile, umana senza lotta contro le superstizioni religiose?


La verginità non è innocenza
(La battaglia delle idee - dicembre 2005)

L’11 dicembre si è svolto a Perugia il congresso provinciale dell’Arcigay Arcilesbica. Finora la maggiore associazione degli omosessuali italiani si era retta su un forte nucleo centrale, bolognese, e su esperienze di circoli cittadini differenziati nelle forme organizzative. A Perugia continuerà a funzionare il Circolo Onphalos, che, senza distinzioni tra gay e lesbiche, ha cercato di rappresentare la comunità omosessuale cittadina, anche fornendo servizi ai soci e alle famiglie. La costituzione di un comitato provinciale dovrebbe ora spingere a un radicamento nei centri minori, ove discriminazioni e pregiudizi sono più forti.
Il clima del congresso, tuttavia, non può dirsi che fosse gaio e gioioso. Pesava un contenzioso sulla sede con il Comune, e più ancora le ambiguità emerse anche nell’Unione di centro sinistra a proposito del riconoscimento pubblico delle unioni di fatto, storico obiettivo dell’Arcigay, ormai realizzato in tutta Europa. Nel dibattito è risuonata l’eco degli impietosi niet cardinalizi e dell’agghiacciante documento che impedisce il sacerdozio cattolico a chi palesi, in una sorta di esame inquisitorio, una “disposizione omosessuale”, anche a prescindere dalle “opere”. E’ un testo interno al cattolicesimo romano, ma le affermazioni perentoriamente discriminatorie, come quella secondo cui l’orientamento omosessuale sarebbe una “minorità”, avrebbero meritato una reazione laica meno risibile. E invece dirigenti politici come Fassino o Bertinotti continuano a difendere il diritto all’esternazione della gerarchia clericale, senza alcuna preoccupazione per il diffondersi del veleno dell’intolleranza.
Nelle conclusioni Aurelio Mancuso, di Arcigay, ha espresso sulle pressanti interferenze una valutazione giusta e “santa”: la Chiesa cattolica, nelle sue élite dirigenti, sa di essere minoranza e cerca l’appoggio della politica e della legge per imporre codici morali che non riuscirebbe a fare accettare con la sola forza di persuasione. Ha dichiarato di parlare senza iattanza, perché lui stesso è cattolico. Siamo sempre infastiditi di consimili pubbliche professioni di fede, ma felici che dei cattolici dichiarati, chierici e laici, omosessuali e non, combattano contro le discriminazioni sessiste e la sostanziale omofobia proclamate dalla gerarchia vaticana.
Vorremmo però che emergesse anche il fondo sessuofobico e maschilista del cattolicesimo romano, che lo avvicina all’integralismo islamico. Parliamo in primo luogo della storia e dei roghi degli omosessuali. La sprezzante denominazione di “finocchio” nasce proprio dal fatto che le foglie di finocchio erano mescolate ai legni della pira per attenuare il fetore. Ma parliamo anche dell’oggi. Ai dignitari delle religioni monoteiste l’eros femminile come quello omosessuale fanno paura perché non collegati alla generazione e difficili da normare e normalizzare, perciò in grado di incrinare l’ordine costituito. Questo punto di vista condiziona le stesse credenze di fede. Tanto per fare un esempio, non è affatto innocuo ed innocente il dogma della verginità della Madonna: significa che persino il sesso finalizzato alla procreazione è segno d’imperfezione e potenzialmente peccaminoso.
Si può andare oltre. A un recente incontro perugino organizzato dal Pdci partecipava il benemerito don Gallo, un prete genovese che combatte l’ingiustizia sociale e l’ipocrisia. Nel manifesto che annunziava il dibattito si poteva leggere una condanna della odierna idolatria del denaro e del mercato contro cui la fede tradizionale e la nuova soggettività antagonista potrebbero condurre una lotta comune. Non siamo d’accordo. Molti fatti attuali corroborano la nostra convinzione di materialisti, che considera la lotta contro le superstizioni religiose inseparabile dagli altri obiettivi di liberazione umana. Non pensiamo affatto all’ateismo militante (spesso di stato) tipico dello stalinismo. Era anch’esso una forma di religione dogmatica e fideistica, con corollari oppressivi, per esempio contro gli omosessuali. Pensiamo piuttosto alla elevazione e diffusione della cultura scientifica di massa, che renda “popolari”, come auspicava Leopardi, gli atteggiamenti critici della filosofia. Il dibattito dei dilibertiani perugini aveva un titolo ad effetto, La religione è l’oppio dei popoli (?), con tra parentesi quell’emblematico punto di domanda. Proviamo a rispondere: noi pensiamo che a volte sia oppio che stordisce, altre volte cocaina che eccita. Comunque una droga pesante.

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